lunedì 20 ottobre 2014

Ma Renzi non ha la visione della Nuova Repubblica





di Angelo Romano


Se a Matteo Renzi riuscirà di rottamare anche il Pd  - come sembra stia facendo - allora si sarà guadagnato un posto nella storia e la gratitudine imperitura di molti italiani.
Per uscire dall'agonia della cosiddetta Seconda Repubblica  occorre demolire i centri di resistenza al cambiamento che vi si oppongono. Tra questi, alcune forze politiche - come il PD - che hanno conservato una concezione egemonica, una supposta diversità morale ed un doppiopesismo, ereditati dal vecchio PCI, che mirano alla tutela di uno status quo che, nelle sue pieghe incancrenite, offre ampi spazi di manovra e grandi opportunità in termini di gestione del potere e di "manutenzione" del consenso.
In questo senso le capacità "rottamatorie" di Renzi possono essere utili all'Italia. Altro il discorso sulle capacità di costruire razionalmente e strategicamente le condizioni per l'avvento della Terza Repubblica. Capacità che, probabilmente, Renzi non ha, se si guarda al pasticcio della riforma del Senato, alla finta abolizione delle Province, all'orribile progetto di legge elettorale, al flop degli 80 euro sul rilancio dei consumi, all'inutile impuntatura sulla Mogherini alla guida di una inesistente politica estera europea, allo scialbo semestre di presidenza europea, alle immutate prospettive di decrescita economica e civile, all'assenza di una "visione" per l'Italia e per l'Europa.
I costruttori della Terza Repubblica, probabilmente, saranno altri da Renzi, il demolitore. Ciò perché,  il ritorno della politica, che finalmente e meritoriamente è riuscito ad incarnare pienamente, dai tempi di Tangentopoli, costituisce, paradossalmente il suo limite che non gli consentirà di metter mano alla revisione profonda della nostra Costituzione. E senza la riscrittura della Carta non potrà esserci nessuna  radicale riforma e nessuna Terza Repubblica all'orizzonte.
La politica agisce entro i margini fissati dalla Carta, figlia a sua volta di un atto politico fondante, ma la sua supponenza, spesso, non le fa intravedere tali limiti e l'impossibilità di operare concretamente i cambiamenti radicali di cui ci sarebbe disperato bisogno. Quanto è davvero efficacemente riformabile la giustizia, ad esempio, con le regole date?
Regole, si ricordi, scritte alla fine di un conflitto mondiale, dopo un'esperienza totalitaria, col condizionamento forte della volontà dei vincitori ed in un'epoca in cui il mondo si andava assettando per blocchi contrapposti e sull'equilibrio del terrore e neanche si intravedevano le rivoluzioni industriali e tecnologiche che ci sono state nei decenni successivi alla sua formulazione.
La riscrittura della Costituzione sarebbe un atto necessario, ma potrebbe mai la politica come la conosciamo, Renzi in primis, indire un'Assemblea Costituente negando con ciò se stessa?
Eppure la storia dei tanti fallimenti riformatori, le tante montagne che hanno partorito topolini, lo stesso fallimento in atto del falso "bipolarismo all'italiana", dovrebbero fornire una bussola, una direzione di marcia a qualunque vero riformatore.

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