di Angelo Romano
Se a Matteo Renzi riuscirà di
rottamare anche il Pd - come
sembra stia facendo - allora si sarà guadagnato un posto nella storia e la
gratitudine imperitura di molti italiani.
Per uscire dall'agonia della
cosiddetta Seconda Repubblica
occorre demolire i centri di resistenza al cambiamento che vi si
oppongono. Tra questi, alcune forze politiche - come il PD - che hanno conservato
una concezione egemonica, una supposta diversità morale ed un doppiopesismo,
ereditati dal vecchio PCI, che mirano alla tutela di uno status quo che, nelle
sue pieghe incancrenite, offre ampi spazi di manovra e grandi opportunità in
termini di gestione del potere e di "manutenzione" del consenso.
In questo senso le capacità
"rottamatorie" di Renzi possono essere utili all'Italia. Altro il
discorso sulle capacità di costruire razionalmente e strategicamente le
condizioni per l'avvento della Terza Repubblica. Capacità che, probabilmente,
Renzi non ha, se si guarda al pasticcio della riforma del Senato, alla finta
abolizione delle Province, all'orribile progetto di legge elettorale, al flop
degli 80 euro sul rilancio dei consumi, all'inutile impuntatura sulla Mogherini
alla guida di una inesistente politica estera europea, allo scialbo semestre
di presidenza europea, alle immutate prospettive di decrescita economica e
civile, all'assenza di una "visione" per l'Italia e per l'Europa.
I costruttori della Terza
Repubblica, probabilmente, saranno altri da Renzi, il demolitore. Ciò
perché, il ritorno della politica,
che finalmente e meritoriamente è riuscito ad incarnare pienamente, dai tempi
di Tangentopoli, costituisce, paradossalmente il suo limite che non gli
consentirà di metter mano alla revisione profonda della nostra Costituzione. E
senza la riscrittura della Carta non potrà esserci nessuna radicale riforma e nessuna Terza
Repubblica all'orizzonte.
La politica agisce entro i
margini fissati dalla Carta, figlia a sua volta di un atto politico fondante,
ma la sua supponenza, spesso, non le fa intravedere tali limiti e
l'impossibilità di operare concretamente i cambiamenti radicali di cui ci
sarebbe disperato bisogno. Quanto è davvero efficacemente riformabile la
giustizia, ad esempio, con le regole date?
Regole, si ricordi, scritte alla
fine di un conflitto mondiale, dopo un'esperienza totalitaria, col
condizionamento forte della volontà dei vincitori ed in un'epoca in cui il
mondo si andava assettando per blocchi contrapposti e sull'equilibrio del
terrore e neanche si intravedevano le rivoluzioni industriali e tecnologiche
che ci sono state nei decenni successivi alla sua formulazione.
La riscrittura della Costituzione
sarebbe un atto necessario, ma potrebbe mai la politica come la conosciamo, Renzi
in primis, indire un'Assemblea Costituente negando con ciò se stessa?
Eppure la storia dei tanti
fallimenti riformatori, le tante montagne che hanno partorito topolini, lo
stesso fallimento in atto del falso "bipolarismo all'italiana",
dovrebbero fornire una bussola, una direzione di marcia a qualunque vero
riformatore.
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