mercoledì 15 ottobre 2014

A pensar male di Obama si fa peccato, ma…

di Cristofaro Sola
In una società ideale ognuno dovrebbe dedicarsi a ciò che sa fare meglio. A noi quel che riesce bene è pensar male. Cerchiamo di farlo ogni qualvolta se ne presenti l’occasione. Grazie a Dio il lavoro non manca da quando Obama è sulla scena internazionale. Anche la sua recente visita italiana è stata una fonte preziosa di sospetti che ci piacerebbe dissipare. Che qualcosa non andasse nel suo furore ideologico, era percepibile. Se n’è accorto financo Grillo che ha lanciato una luce sinistra sulla visita romana di Obama. Ha insinuato: ”questo è venuto a vendere gas”. Ha torto? Proviamo a ordinare alcuni dati. 1. Il gas russo ha invaso il mercato europeo coprendo buona parte della domanda energetica. Ciò ha consentito di contenere i prezzi d’acquisto. La Russia, oltre al completamento del “ North Stream” ha cantierato la costruzione di un altro gasdotto per il sud del continente, nella prospettiva di aumentare i volumi della fornitura. Il progetto “South stream”, coinvolge nel partenariato anche l’italiana ENI, a cui, dopo aver realizzato il tratto “Blue Stream” che passa sotto il mar Nero, è stata commissionata la posa della condotta sottomarina che dalla Turchia giungerà alla terraferma. 2. La Libia, con 48 miliardi di barili di petrolio potenzialmente ancora estraibili dal suo sottosuolo, rappresenta uno dei maggiori “serbatoi” africani. Ad oggi sono circa trenta le imprese multinazionali che hanno ottenuto licenze dal governo di Tripoli per avviare l’estrazione. Ma l’attuale governo sta tentando di riscrivere le regole per disciplinare le concessioni petrolifere. L’amministrazione Obama, facendo valere il suo ruolo di “liberatore”, intende partecipare attivamente alla stesura della legge, per collegarla alle proprie strategie. Al momento la produzione viaggia su 1 milione di barili al giorno, che è un valore molto basso rispetto alle potenzialità del mercato. In tale contesto, l’italiana ENI mantiene ancora rapporti privilegiati con l’establishment politico del Paese. 3. Gli israeliani nel 2010 scoprono, al largo della costa, il più grande giacimento di gas naturale di tutto il Mediterraneo. Lo battezzano “Leviathan”. Una volta avviatone lo sfruttamento, Israele potrebbe divenire una nuova potenza energetica della regione mediorientale, con buone possibilità di penetrazione del mercato europeo. 4. Negli Stati Uniti si produce Shale gas. Si tratta di gas estratto dalla roccia di scisto di cui il sottosuolo americano abbonda. Gli americani sono entusiasti di questa scoperta al punto che le compagnie che hanno messo a punto il sistema d’estrazione sono volate nelle quotazioni in borsa. Tuttavia, qualche avveduto esperto ha messo in dubbio la bontà dell’investimento nel senso che, alla lunga, i costi d’estrazione potrebbero rivelarsi eccessivi rispetto all’offerta corrente. Se così fosse centinaia di migliaia di risparmiatori americani, che hanno scommesso sulla redditività dell’operazione, rischierebbero di trovarsi di nuovo con un pugno di mosche tra le mani, come accadde con lo scoppio della bolla immobiliare. Quindi si tratterebbe, secondo fonti finanziarie accreditate, di un investimento ad alto rischio a meno che…..a meno che, per “miracolo”, non avvenga qualcosa sul mercato europeo tale da ridurre drasticamente l’offerta di prodotto disponibile. Ora, si sa che i “miracoli” fatti dagli umani hanno bisogno di una spintarella perché accadano. E Obama questa spintarella ha sentito che fosse giusto darla per il bene dei suoi concittadini. Sui target individuati, Washington ha stabilito una strategia di intervento che avesse come esito finale il rilancio dell’offerta petrolifera americana sul mercato europeo. La prima mossa è stata la soluzione del problema libico con l’eliminazione fisica del satrapo Al Qadhdhafi. Costui era diventato un player ingombrante nella partita del petrolio. I precedenti equilibri, raggiunti nell’area del Mediterraneo, gli consentivano di continuare, indisturbato, a “dare le carte” sui diritti di sfruttamento dei pozzi, servendo gli assi sempre agli stessi amici. Con la messinscena della “primavera araba” nel 2011, Al Qadhdhafi, Kaputt! La seconda mossa ha riguardato un cambio di rapporti con lo storico alleato israeliano. Al governo di Gerusalemme Obama ha imposto la via del negoziato obbligato con i palestinesi, nella consapevolezza che il fallimento della trattativa, molto probabile a causa della rigidità delle posizioni dell’Autorità Nazionale Palestinese, precipiterà Israele in una condizione di isolamento rispetto agli altri Paesi della regione. Ciò costringerà, gioco-forza, il gabinetto Netanyahu a chiedere aiuto al principale alleato d’oltremare. A quel punto non sarà difficile per l’amministrazione americana chiedere al partner mediorientale di ridefinire la strategia di espansione commerciale sul mercato energetico. Difficilmente Gerusalemme potrà sottrarsi a una richiesta del genere, soprattutto se sull’altro piatto della bilancia Obama vi carica tutto l’apparato di difesa antimissilistica dello scudo spaziale su Israele, che stanno mettendo a punto negli Stati Uniti. L’ultimo masso sulla strada della “normalizzazione” del mercato energetico europeo, nella prospettiva americana, è costituito dalla presenza del player russo. Appare, dunque, sospetta la coincidenza dello scoppio della crisi ucraina che accompagna il riaccendersi, nell’opinione pubblica americana, di sentimenti ispirati alla solidarietà verso i popoli in lotta per la libertà e la democrazia, contro la politica “imperialista” della potenza ex-sovietica. Con il pretesto di sanzionare i comportamenti dispotici dei dirigenti del Cremlino, si preme per introdurre in Europa sanzioni di embargo all’importazione di prodotti petroliferi dalla Russia. Nel nome della libertà, della democrazia e del diritto violato, i partner europei potrebbero essere costretti a seguire l’alleato americano sulla strada dell’isolamento del gigante russo. L’attuale politica energetica collasserebbe, rischiando la crisi della domanda sul mercato interno continentale. Con il calo delle forniture da Est, il prezzo del gas ricomincerebbe a salire, fino “all’arrivo della cavalleria”. Il presidente Obama, nel corso del summit de L’Aja, avrebbe già rassicurato gli alleati sulla disponibilità a fornire gas americano. Ora la domanda da porsi è: “Gli europei ci cascheranno?”. Finora, grazie alla fermezza della Merkel, hanno resistito, nella speranza che Mosca blocchi la mossa di Obama “aprendo” al negoziato sulla crisi ucraina. Tuttavia la situazione potrebbe già essere compromessa. Scaroni, l’a.d. di ENI, sempre molto ben informato, si è dichiarato pessimista. Ha detto chiaramente che, per il completamento del gasdotto ”South Stream”, vede un futuro fosco. Egli teme che Bruxelles, su impulso di Washington, non lo faccia ultimare negando le necessarie autorizzazioni. Per gli interessi italiani sarebbe un colpo durissimo, anche alla luce della prossima rinegoziazione, con Gazprom, del contratti di fornitura di gas a lungo termine, conclusi con la clausa del “take or pay”. Le demenziali affermazioni di Renzi su un ipotetico senso morale della battaglia per l’Ucraina, che supererebbe ogni valutazione di carattere economico, fa temere il peggio per il prosieguo dei rapporti con il partner russo. Lo abbiamo chiarito in premessa: noi sappiamo solo pensar male. Qualcuno, allora, ci dica che non è così che è andata. In attesa di notizie, per la nostra aritmetica 2 + 2 fanno ancora 4.

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