mercoledì 15 ottobre 2014

Consulta semper certa est, lex numquam

di Elisa Mauro
Quando la Corte Costituzionale parla, tutto il resto tace. Ed è giusto che sia così, perché la Corte Costituzionale è l’organo preposto a sindacare dell’operato del legislatore ordinario al fine di verificarne la costituzionalità. E come garante dello Stato di diritto avvia il processo di legittimità costituzionale in parallelo a quella giurisdizionale e amministrativa. Con la sua ultima sentenza la Corte boccia la legge Fini-Giovanardi che equiparava l’uso delle droghe pesanti a quello delle droghe leggere. La sentenza dichiara che la disposizione di rango costituzionale violata è l’art.77 della nostra Carta secondo cui «il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria». Pertanto incostituzionalità sì, ma formale, cioè riferita ai procedimenti tecnicamente non accettabili di formazione della legge. Come nel gioco dell’oca, infatti, al tiro dei dadi, assegnati in questo caso alla Consulta, tutte le pedine che in questi quasi otto anni hanno operato in funzione della legge Fini-Giovanardi, ora si ritrovano impacchettate nella loro custodia: giudici, avvocati, polizia penitenziaria, ma anche imputatati, condannati, tutti attori che sono stati operosamente coinvolti da questa legge, scoprono che il gioco riparte dai primi anni ’90 (dalla cd Jervolino-Vassalli) e che i processi svolti, le eventuali condanne, le pene da scontare in questione sono nulli. In attesa di amnistia e indulto, e stante l’emergenza in cui versano le nostre carceri, una sentenza di questo genere conduce a delle conseguenze che portano inevitabilmente al riassetto di un sistema impegnato per anni con le sue forze e le sue competenze alla sicurezza e alla legalità. Liberi tutti, quindi, ma sarebbe bene, almeno una volta, vedersi garantire una certezza della legge, prima che una certezza della pena.  

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