mercoledì 15 ottobre 2014

Il "vento scozzese" s'è ritirato: gli Stati nazionali sono più vivi che mai

di Aldo Di Lello
Alla fine si è rivelato tutto un colorato psicodramma mediatico, che ha tenuto per qualche giorno in apprensione l'opinione pubblica britannica e quella del resto d'Europa. Il Regno Unito resterà integro. Continuerà il suo cammino, cominciato con l'Atto d'Unione del 1707. Lo ha deciso il popolo scozzese, decretando con una maggioranza del 55 % la permanenza nello Stato unitario della Gran Bretagna. Più di tre secoli di storia non si cancellano, dall'oggi al domani, con un colpo di matita. Anche i vincitori, innanzi tutto i leader politici nazionali (da Cameron a Miliband), promettono che comunque il Regno Unito cambierà assetto, con una più ampia devolution in materia fiscale e di welfare concessa alla Scozia, al Galles e all'Irlanda del Nord. Ma il messaggio delle urne scozzesi è chiaro: lo Stato nazionale non è un ferrovecchio. Non solo esso corrisponde al sentire profondo delle genti riunite nel cammino storico delle nazioni, ma rimane un fattore primario di democrazia e di crescita economica e civile. Gli scozzesi hanno votato sia con il cuore sia con la mente, respingendo l'idea semplicistica e miope di realizzare una loro enclave di benessere attraverso l'aumento statistico del reddito pro-capite e il controllo esclusivo del petrolio del Mare del Nord. E' apparso chiaro alla maggioranza degli elettori referendari che dividersi vuol dire indebolirsi e, alla lunga, impoverirsi. E' un concetto ben sintetizzato nel commento a caldo di Cameron : "Insieme siamo migliori". Il no alla secessione della Scozia è destinato ad avere ripercussioni anche nel resto d'Europa, nel senso che smorzerà gli entusiasmi dei separatisti di tutto il Continente, quegli stessi che speravano di cavalcare trionfanti l'annunciata rottura del Regno Unito. La prima verifica ci sarà il 9 novembre in Catalogna, data fissata per il referendum per l'indipendenza, che però è stato bloccato con un voto a larga maggioranza del Parlamento spagnolo, decretando l'illegittimità della consultazione. La piazza catalana spinge affinché il referendum si tenga egualmente. Una imponente manifestazione si è tenuta l'11 settembre a Barcellona. Ma è plausibile pensare che ciò sia dipeso dal fatto che ancora infuriava impetuosamente il "vento scozzese". Ora questo vento s'è placato e le forze che spingono per una prova di forza con Madrid non possono più contare sull'effetto contagio. La crisi sociale che investe la Spagna può sempre offrire nuova linfa alle spinte separatiste. Ma quello che vale per la (relativamente) prospera Gran Bretagna (crescita al 3,2 % del Pil, disoccupazione al 6,5%) vale a maggior ragione per una Spagna che tenta faticosamente di uscire dal tunnel della crisi (il Paese iberico è in crescita dello 0,6 %, ma il tasso di disoccupazione è sul pauroso livello del 24,4 %): a Barcellona, ancor più che a Edimburgo, la disunione riduce le possibilità di sviluppo. E qualche effetto "calmante" l'esito del referendum in Scozia dovrebbe averlo anche sui separatisti di casa nostra. La Lega, è vero, ha messo momentaneamente da parte gli slogan della secessione per concentrare i suoi strali solo contro l'Europa e i migranti. Ma Salvini e lo stato maggiore del Carroccio sono volati in pompa magna a Edimburgo con l'idea di partecipare alla sperata festa dell'indipendenza scozzese. E vale la pena anche ricordare che qualche mese fa si è tenuto un grottesco referendum ai gazebo e on line per l'"autodeterminazione" del Veneto. Anche l'Italia del Nord verrà risparmiata dal "vento scozzese". "Braveheart" rimane solo un bel film.

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