mercoledì 15 ottobre 2014

La vera parità di genere va conquistata prima nella società

di Elisa Mauro
L’offesa più grande che una donna possa ricevere risiede nella volontà altrui di omettere un dato ineludibile che le appartiene, l’elemento stesso per cui è al mondo, e che per il solo fatto della sua esistenza e inamovibilità, se non con le dovute eccezioni, non può essere tralasciato: il potere che ogni donna ha di dare vita al mondo. Nei giorni scorsi, le donne sedute ai banchi del Parlamento hanno parlato a nome delle donne, come fossero vittime di un torto che le vede private del diritto “inalienabile” di sedersi su comode poltrone e amministrare la cosa pubblica. Che è ben diverso dal conoscerla e saperla amministrare. Le donne, nel loro soggettivo e sempre più individualistico modo di concepirsi, hanno subito discriminazioni che la storia ha saputo raccontare nonostante non sia stata scritta da loro. Perché se l’avessero scritta nel loro modo combattivo e veemente, in quel modo impetuoso e diretto, probabilmente non si arriverebbe oggi a schierare un esercito di bianco vestito che parla a nome di tutte, anche mio, dunque, ma che in fondo parla esclusivamente di sé. Donne al potere che vogliono stare al potere e che dimenticano la società civile, tutto il resto di questa società nata femmina che si fa carico di responsabilità e reali discriminazioni sul campo, mentre raggiungono il posto di lavoro, quando fanno un colloquio, quando decidono di fare famiglia e si sentono dire dal responsabile che non riceveranno alcun aiuto, se non vogliono perdere il lavoro. Le donne che oggi parlano di quote rosa sono come quegli squali che con il pesciolino vivo ancora tra i denti lo lodano, proclamandone i diritti di sottospecie. Le femministe 2.0 in Parlamento stanno annunciando in queste ore la battaglia che le vuole vedere quote paritarie nell’attività politica. Una battaglia priva di reali contenuti e modelli societari cui aspirare, che logora il corpo di qualsiasi essere pensante, lasciando penzoloni solo le teste; teste che, non contente di ostentare una situazione del tutto naturale, si auto-decapitano per il solo gusto di metterci la faccia. Ma che ne è del corpo? Dove il contradditorio, dove la dialettica? Dove quindi la politica? Possibile che, ancor prima di tutto questo, nessuna tra loro abbia ancora riferito che la situazione in cui viviamo non permette alle loro “pari” di fare figli e di lavorare contestualmente? Possibile che non si vada a monte del problema, spiegando e cercando di risolvere delle difficoltà oggettive di una società che non vede di buon occhio donne in carriera e mamme lavoratrici, vivendo col fantasma di un equilibrio instabile che le vede da una parte soggetti deboli e indifesi dall’altra tigri da combattimento pronte a miagolare e fare le fuse all’occorrenza? Sono donne anche quelle che imbandiscono la tavola ai figli, Presidente, donne e mamme che per campare hanno bisogno di accettare compromessi e minacce a lavoro, subire mobbing, stare a guardare che i tempi cambino per sentirsi alla pari. Ma pari è una cosa che annienta il più tenue barlume di intelligenza. La specialità, invece, l’unicità, la diversità creano cultura, novità e sincretismo. Per fare un’ottima torta la ricetta non prevede mai la parità tra gli ingredienti, care signore; per sentire il sapore di zenzero sulle pupille è necessario grattarne in superficie un po’ di scorza, risultando, sebbene in piccole quantità, l’elemento prediletto, il titolo che dà il nome alla somma dei suoi elementi. Prima di affrettarsi a essere portavoce di una battaglia inesistente, è necessario sapere che la diversità nel genere femminile è un elemento di ricchezza. E che la parità – che brutta parola – deve passare da un riassetto culturale, oltre che legislativo, del sistema previdenziale, di quello assistenziale, di quello professionale, e prima ancora di quello formativo ed educativo. Manca il valore della battaglia, manca la sua reale compostezza. La fierezza del sentirsi donne, e per questo potenziali madri, che procreano, mantengono ed educano i figli alla dignità di qualsiasi genere, a prescindere da chi li rappresenta o ci abbia rappresentati. La trattazione sarebbe così lunga da farci drappeggi per finestroni, ma la domanda sorge spontanea per ciò che concerne la leadership: nel qual caso infausto dovesse passare questa pantomima delle quote rosa, cosa accadrebbe ai loro capi che per logica e onestà intellettuale sono “uni”? Si dividono anche loro? Metà e metà? O ci metteranno un transgender per risolvere a monte?

Nessun commento:

Posta un commento