mercoledì 15 ottobre 2014

Fini: "Sarò l'allenatore della nuova destra"

Intervista rilasciata da Gianfranco Fini  - Il Tempo del 6 giugno 2014 Presidente Fini, a quasi la metà dei votanti su iltempo.it non dispiacerebbe un suo ritorno nel centrodestra. È sorpreso? «Mi ha fatto piacere. Forse il tempo è davvero galantuomo e tante delle accuse infamanti rivoltemi con gli anni hanno perso di credibilità». Sta dicendo che si sente il capro espiatorio del tracollo della destra? «No, sono cosciente di aver commesso degli errori. Con una certa amarezza noto che non tutti hanno avuto la stessa consapevolezza. Ma non mi sono mai sentito un capro espiatorio. Ho tanti difetti ma non quello del vittimismo congenito». Ai funerali di Rauti rischiò il linciaggio. Ripensa mai a quel momento? «In quella sede era naturale, Rauti è stato il mio avversario storico fin dai tempi del Msi, i presenti a quel funerale erano orgogliosamente legati a una tradizione neofascista nei confronti della quale, ai loro occhi, io avevo la colpa di Fiuggi». Ora avranno cambiato idea? «Non so e non mi interessa». Non si rivolge più a quel mondo? «Evidentemente no». Come si ricostruisce il centrodestra? «Parto da un dato di fatto innegabile. Mai come in questo momento il centrodestra appare deludente agli occhi di milioni di connazionali che alle ultime elezioni, nel 2013 e nel 2014, non l’hanno più votato. Significa che i soggetti politici in campo - Forza Italia, Lega, Ncd, Fdi - sono ritenuti inadeguati. Parto da questa onesta fotografia». Per creare un nuovo partito? «No, ho intenzione di promuovere delle assemblee - la prima proprio a Roma il 28 di questo mese - rivolgendomi a questi elettori delusi per chiedere loro quali idee hanno per ricostruire il centrodestra. Lo slogan sarà "L’Italia che vorresti. Partecipa. Le tue idee per una destra che non c’è". Il mio compito sarà quello di indicare alcuni spunti per il dibattito e poi ascoltare per capire se si può ricostruire un centrodestra che abbia valori condivisi e proposte convincenti. Non sta in piedi un’alleanza contro qualcuno - Renzi o Grillo - se non si è capaci di costruire un’intesa basata su valori comuni. È difficile recuperare voti se si mette insieme chi sta nel Ppe e chi vuole uscire dall’euro, chi sostiene Renzi e chi lo contrasta, chi dice che le riforme costituzionali in cantiere vanno bene e chi le boccia. Una sommatoria aritmetica non porta da nessuna parte. Il mio tentativo si basa non su primarie per la leadership. Semmai penso a primarie per il programma». Ma, senza un leader come Renzi, questo tentativo non rischia di essere velleitario? «Velleitario no, magari sarà preparatorio. È vero, le idee camminano sulle gambe degli uomini, ma siccome mancano anni al voto, la ricerca del leader oggi rischia di essere sterile. Allora partiamo da quello che è possibile fare, da un minimo comun denominatore. Anche con un riferimento valoriale di destra, altrimenti i programmi rischiano di assomigliarsi tutti. Aggiungo che oggi il centrodestra, a differenza della sinistra, deve impegnarsi anche nel rinnovamento della classe dirigente. Io porrò al centro del dibattito i criteri meritocratici e il modo in cui si forma la classe dirigente. Io stesso non mi considero un uomo per tutte le stagioni, semmai vorrei fare l’allenatore di una nuova squadra». Dal 2008 il centrodestra ha perso 9 milioni di voti. Perché? «Non sta a me dirlo, gli errori sono stati commessi da più parti. Mi basta fotografare un dato di partenza, altrimenti si ricade nelle reciproche accuse, e gli italiani si sono stancati di questo. Si tratta di invitare tutti a uno sforzo di umiltà e riflessione». Sarà possibile farlo fino a che Berlusconi sarà in campo? «È un problema che riguarda dirigenti ed elettori di Forza Italia, non tutto il centrodestra. Se continuiamo a ragionare di alleanze e leadership non ne usciamo. Se, al contrario, mettiamo questo tema al termine e non all’inizio del percorso, forse diventa tutto più facile. Magari non scontato, ma più facile». Alcuni credono che il suo tentativo si incrocerà con Ncd o col partito di Passera. «Se sono intellettualmente onesti, dopo che avranno visto le modalità di svolgimento delle assemblee, capiranno che non mi rivolgo al ceto politico, ma a quegli elettori delusi da tutto il centrodestra che cercano non solo delle facce nuove - e la mia non lo è - ma soprattutto idee e proposte innovative». Ha rimproverato a Berlusconi la gestione autoritaria del Pdl. Molti le fanno la stessa accusa riguardo An. «Se lei va a vedersi la collezione del Tempo troverà almeno un centinaio di interminabili assemblee di An con documenti e votazioni. Il paradosso è che alcuni di quelli che oggi sostengono la tesi della mancata democrazia, i cosiddetti colonnelli, erano i primi che si mettevano d’accordo - anche con me, per carità - e precostituivano quello che sarebbe stato l’esito del dibattito. Tutto si può dire tranne che siano mancati confronti aspri e trasparenti». Cosa manca a Fratelli d’Italia per essere la nuova An? «Non hanno il diritto di utilizzare il simbolo e la storia di An solo per un’operazione elettoralistica, peraltro rivelatasi infruttuosa. An fu un momento di passaggio da una destra che si proclamava anti-sistema a una destra che voleva dimostrare cultura di governo. Fu un momento di grande apertura ad esponenti che venivano da altre esperienze politiche. An non fu solo Fini o Tatarella, è stata Fisichella, Ramponi e chissà quanti altri. Questa storia non va utilizzata solo per avere un simboletto che pensavano portasse qualche voto in più. Ma al di là di questo aspetto ci sono altre questioni che non condivido, proprio perché estranee alla cultura di An. In primis la strampalata proposta di uscire dall’euro. Francamente fuori luogo sulle labbra di chi fino a qualche tempo fa rappresentava l’Italia come ministro o come sindaco di Roma». Si è chiesto il perché del fallimento di Futuro e Libertà? «Certo. Le ragioni sono tante. L’Italia era tripolare ma nessuno se n’era accorto, non c’era spazio per uno schieramento che si professava come terzo polo, guidato da un uomo come Monti che veniva percepito come colui che aveva costretto gli italiani a sacrifici molto duri. In più ci fu la scelta - che io non condivisi ma accettai - di presentare liste diverse e di non fare manifestazioni uniche. Senza che ci fosse un messaggio chiaro che potesse rappresentare un’altra idea della destra». Secondo Berlusconi ha pagato anche la partecipazione al colpo di Stato del 2011. «Berlusconi si dimise perché capì di non aver più una maggioranza tale da poter governare. L’Italia era sull’orlo del precipizio, del fallimento finanziario. Se Berlusconi era convinto del golpe, perché votò la fiducia a Monti, che era il "golpista"?». Il mio direttore Chiocci è stato l’artefice dell’inchiesta sulla casa di Montecarlo. Vorrebbe dire qualcosa al riguardo? «Al suo direttore, nulla. Sono iscritto all’ordine dei giornalisti e ho il massimo rispetto per tutte le opinioni, anche quelle che non condivido. La vicenda, invece, mi ricorda la parabola della pagliuzza e della trave. Sono stato per 30 anni in Parlamento senza ricevere un avviso di garanzia. Su Montecarlo parla la procura di Roma: archiviato perché il fatto non sussiste». Carlantonio Solimene

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