mercoledì 15 ottobre 2014

Le ragioni profonde della dialettica destra sinistra

di Angelo Romano
La mia abitudine alla riflessione mi ha spinto a chiedermi che significato possa avere, in questo tempo storico, la parola Destra, per me, che sono nato di “Destra” ed ho vissuto di conseguenza. Il concetto ha qualche parentela con la destra giolittiana o liberale, quando il suffragio era legato al censo? Certamente no. Eppure quella era la destra politica italiana. Il concetto ha qualche parentela con la destra di stampo anglosassone: conservatori inglesi, repubblicani americani? Meno che mai, al massimo qualche blanda affinità in alcuni specifici ambiti. Qualcosina in più, forse, con i Gollisti francesi. Forse col popolarismo europeo? Anche qui, soltanto affinità… Il Fascismo è stato il Fascismo, né di destra, né di sinistra. Un tentativo di sintesi e superamento, per molti versi originale, tra socialismo e liberalismo. Poi, archiviata malamente e con la rimozione l’esperienza fascista, è arrivato il Movimento Sociale per mantenere vive e tramandare, sia pure in democrazia, le intuizioni del Fascismo. I deputati missini, in Parlamento, si collocarono a destra con i monarchici ed i liberali pur avendo poco da spartire con essi. E qui ha inizio l’anomalia di una certa destra italiana, perché il Fascismo era ben oltre le categorie di destra e sinistra allora note. Poi c’è stato il crollo delle ideologie – non delle visioni del mondo – e questo ha indotto una lenta mutazione genetica che ha portato alla nascita di quella vera e propria “fabbrica di mostri” (in riferimento, non agli ideali e al progetto,ma ai concreti comportamenti seguiti da gran parte della classe dirigente), che fu Alleanza Nazionale, fatto salvo – nonostante alcune responsabilità - Fini e poi spiegherò il perché. E poi la degenerazione nel berlusconismo. E allora, cosa è mai Destra? Azzardo una risposta. Due principi, due forze sono alla base dell’esistenza. Ciò che specifica e ciò che omologa. Il principio di specificazione rende gli esseri diversi, unici, irripetibili. Quello di omologazione li sospinge entro i canoni propri della specie cui appartiene. In ogni essere vivente i due principi coesistono agendo in proporzioni diverse. Tra i batteri e gli insetti il principio di specificazione è latente, man mano che si sale sulla scala della vita esso si rende via via più manifesto. Un cane ha un suo carattere, una sua personalità definita, ma restano in lui tutti i comportamenti che lo omologano alla sua specie. L’uomo, nella sua unicità, libertà, razionalità e spiritualità, tende a specificarsi più di ogni altra creatura, i comportamenti omologanti residuano a livello di necessità biologiche e di auto-conservazione. Il progresso dell’uomo, a ben guardare, è fatto di specificazioni sempre più spinte. La storia delle società umane, e quindi della politica, ha molto a che fare con questi due principi. Dagli assetti tribali, dove il capo era il più forte, come nei branchi, fino agli assetti attuali dove, in genere - meno che in Italia-, è il più dotato, si legge il percorso della specificazione. Analogamente, se si cerca di leggere sotto questa luce l’evoluzione delle società e le loro specifiche gerarchie ed assetti. Le categorie di Destra e Sinistra, posto che abbia ancora un senso utilizzarle, discendono dai questi due principi. Ciò che tende a specificare è tendenzialmente “di destra”, ciò che tende ad omologare è tendenzialmente “di sinistra”. La vita di ciascuno è, in estrema sintesi, costituita da un mix di “come” e di “cosa”. Il “cosa” ricomprende tutti i comportamenti e le azioni, il “come” esprime la loro modalità qualitativa. Il “cosa” è più figlio dell’omologazione, il “come” della specificazione. Da destra, quindi, sono più facilmente concepibili che da sinistra concetti specificanti quali: onore, gloria, eroismo, abnegazione, valore, bellezza, dovere, sacrificio, trascendenza, patria, nazione, civiltà, individuo. Specularmente, da sinistra sono più immediatamente concepibili concetti omologanti quali: bisogno, diritto, normalità, garanzie, socialità, media, massa, immanenza, internazionalismo, cellula, società. La dialettica, spesso vivace, che ne nasce è però regressiva. Le “ragioni della specie” hanno un loro fondamento, costituiscono parte della stessa medaglia, e questo va compreso e tenuto nel debito conto, soprattutto in ordine ai bisogni, alla socialità, alle garanzie ed ai diritti, per il resto la storia è specificazione. Alla luce di questa interpretazione del termine Destra si fanno più chiari i punti di affinità con le altre Destre. Si tratta dei tratti specificanti: il senso di nazione ed il patriottismo dei Repubblicani americani, l’orgoglio e la difesa delle tradizioni dei Conservatori inglesi, l’ancoraggio ad alcuni valori dei Popolari europei. Resta apparentemente fuori il concetto di Destra sociale. Ma, a ben guardare, se le ragioni della specificazione e quelle dell’omologazione appartengono alla stessa medaglia della vita, allora la Destra, è in sé anche sociale. Cosa che il Fascismo aveva compreso perfettamente, ma che non entra nelle corde dei Repubblicani d’America. Ma attenzione. Anche qui la contraddizione è dietro l’angolo ed ha a che fare con il concetto di libertà. Nel recinto del bisogno non c’è libertà. Questa comincia oltre il bisogno, oltre la necessità. Nel bisogno c’è, al massimo, il desiderio di libertà. L’individuo può portarsi fuori dalla sfera del bisogno o comprimendola il più possibile, come il fachiro o l’asceta o competendo, con se stesso e con gli altri, per farsi libero. Se è la società che provvede a soddisfare i bisogni è solo il recinto che si è fatto più grande, la libertà resta solo un miraggio. L’uomo che si fa libero scopre la responsabilità che è il metro autoregolatore della sua libertà. L’uomo che si fa libero anela a farsi uguale ai migliori della sua specie, in saggezza, consapevolezza e conoscenza per offrirsi, come modello ed esempio, alla sua specie, affinché possa progredire ancora. La legge sta a salvaguardia della libertà di ciascuno e di tutti. Libertà e socialità vanno ben conciliate altrimenti l’una esclude l’altra. Ora una digressione sul concetto di “capitale sociale”. Francis Fukuyama, il famoso economista, ha definito la nozione di “capitale sociale”. Esso è dato: “dall’insieme di regole e valori condivisi dai membri di un gruppo che consente loro di aiutarsi”. “Regole e valori non scritti, che devono comprendere virtù quali la lealtà, l’osservanza degli impegni presi e la reciprocità”. Se le persone giungono a ritenere che gli altri si comporteranno in modo affidabile ed onesto, tra di loro si instaurerà la fiducia che accresce, come un lubrificante, l’efficienza di qualsiasi gruppo o organizzazione”. Essere comunità significa avere un alto capitale sociale, saperlo mantenere ed accrescere. Questo è anche il presupposto della socialità. Comportamenti difformi consumano rapidamente il capitale sociale fino ad azzerarlo. Ricostituirlo è quasi impossibile, come dimostra la storia recente del Pdl. Molti, a destra, ancora si riferiscono ad una “risposta italiana” ai mali dell’Occidente che presupporrebbe l’individuazione della mitica “Terza via”, una sintesi ancora più complessa e ardita di quella fascista. Ve ne sono i presupposti? E posto che vi siano, sono tali da risolvere i problemi di scenario? Certo all’orizzonte si intravedono alcune contraddizioni che andranno risolte. Ad esempio: quando tutte le produzioni saranno automatizzate di chi sarà la proprietà dei mezzi di produzione? Sarà la partecipazione la soluzione o un nuovo statalismo? Ma senza il recupero della supremazia della politica come sarà possibile una soluzione? E come si risolverà l’antinomia di Stati a giurisdizione geografica ed economia e finanza a giurisdizione globale? Paradossalmente la Cina comunista è uno dei pochi Paesi ancora a guida politica e non economica. La soluzione potrà mai venire da un’Europa che più si allarga più diluisce le sue possibilità di essere nazione? Di fronte alla complessità dei problemi di scenario ed alla difficoltà di trovare risposte capisco Fini - cui riconosco, una capacità di lungimiranza ed un genuino interesse ai contenuti - e la sua scelta di puntare più sulle affinità, sui minimi comun denominatori, sui punti di contatto possibili tra le tante destre europee ed occidentali, optando per una politica delle soluzioni che presuppone la comprensione profonda dei cambiamenti in atto e la capacità di dare risposte a problemi nuovi. E questo ha a che fare col futuro che è la realtà immaginata che si trasforma in fatti, grazie al germogliare dei semi piantati nel presente. La scienza, la politica e la stupidità sono i principali artefici del futuro. Per questo è bene che la politica incontri la scienza e si liberi degli stupidi e Fini lo ha ben compreso.

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