mercoledì 15 ottobre 2014

Carceri, la cattiva coscienza dell'Italia

di Elisa Mauro
Facciamo un passo indietro lungo due anni. Il 17 febbraio del 2012 la legge n.9, meglio nota come svuota-carceri, tagliava il traguardo definitivo alla Camera con 385 voti a favore, 105 contrari e 26 astenuti. Il provvedimento puntava a lenire superficialmente una tragica realtà riguardante il mondo carcerario, il suo sovraffollamento e i centinaia di casi di suicidio che scuotevano l’Europa e le sue cattedre. Inizialmente furono moniti e paternali. Poi si passò, grazie alla Corte di Strasburgo, ai fatti: il danno provocato ai detenuti costretti a convivere in celle minime reca un’ammenda di 100mila euro che l’Italia è costretta a pagare entro il termine perentorio di maggio. Sì, perché se l’Italia è in stallo da oltre due anni ( e sotto svariati aspetti), l’Europa macina, va avanti e soprattutto non dimentica ciò che semina. Questo ormai lo avremmo dovuto imparare come l’Ave Maria. E invece, tentiamo il salto in alto senza l’asta né protezioni. Ci prova allora il ministro Andrea Orlando a parlare davanti al Consiglio d’Europa, al suo segretario Thorbjorn Jaglind, facendo leva sull’aspetto “qualità” delle nostre carceri, più che sulla quantità dei nostri carcerati. Come a dire, ora vi insegno a guardare il dito, e non la luna. E non è detto che non ci sia riuscito, ma fermarsi a quel punto sarebbe stato saggio. Invece il Guardasigilli Orlando continua e spiega che la forbice tra il numero dei detenuti e i posti disponibili si è dimezzato. Ma è difficile non credere il contrario. E infatti, se nel 2013 i detenuti erano oltre 65mila e oggi 60mila, non sarebbe il caso di parlare più matematicamente di una lieve decurtazione? Se ancora nel 2012 i detenuti in eccesso erano 21 mila e oggi 10mila, com’è possibile che sia dimezzato il rapporto tra detenuti e posti disponibili, e non semplicemente il mero numero relativo alla sovrabbondanza? Sappiamo inoltre che la legge Severino ha difatti influito tantissimo sul fenomeno delle porte girevoli, cioè l’entrata-uscita dei detenuti in carcere nell’arco di tre-cinque giorni, della convalida dell’arresto e il dimezzamento – questa volta sì – dei tempi previsti che passavano da 96 a 48 ore. Ma prevedeva soprattutto una integrazione delle risorse finanziarie dedicate al sistema detentivo, oltre che sanitario, pari a 57 milioni di euro per l’adeguamento e il potenziamento di strutture e infrastrutture a regime di reclusione. Se ad oggi l’Europa non riscontra miglioramenti, e nemmeno noi, cosa ne è stato di quelle risorse? Come è stato impiegato il denaro pubblico a favore di una vita carceraria migliore di Caino? E anziché parlare di numeri e statistiche, non sarebbe stato accorto da parte nostra recare al Consiglio d’Europa qualcuno che conoscesse più a fondo la questione delle carceri, l’inadeguatezza della vita di diritto che è dovuta perfino a chi sbaglia, del perché ancora restano amnistia e indulto gli unici strumenti in grado di scrostare ben poca cosa dal tessuto carcerario in cui versano esseri umani che devono essere prima di tutto riabilitati, e non mortificati o indotti al suicidio? I problemi fisiologici che causano la crisi della giustizia penale, fosse anche per questi provvedimenti tappabuchi, se curati con amnistia e indulto non farebbero altro che lenire apparentemente un male che attanaglia nel profondo una struttura ormai lesa nell’integrità e nel rispetto dei principi. La giustificazione etica e logica su cui poggia l’art.27 della nostra Carta non può prescindere dalle specifiche esigenze risocializzative e specialpreventive del condannato. Questo per dire, anche alla suprema Corte di Strasburgo, che pagare un condannato per il torto subìto non lo presenterà alla società come individuo ri-equilibrato, ri-educato o ristabilito. L’Individuo, ex detenuto, si troverà un gruzzoletto in più e, poiché nessuno gli avrà insegnato la lezione, molto probabilmente continuerà a delinquere. E come nel peggior gioco d’azzardo la sua probabilità di riscatto umano sarà pari allo 0,0001 per cento, mentre la nostra rimarrà sempre pari a zero.

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