mercoledì 15 ottobre 2014

Crimea, il gioco pericoloso di Putin

di Aldo Di Lello
L’esibizione di forza della Russia in Crimea rievoca, anche per i richiami storici di luoghi come Sebastapoli, l’ottocentesca diplomazia delle cannoniere. Ma siamo nel XXI secolo e certi giochi politico-militari possono diventare pericolosi. E pericolosi non solo per i possibili, immediati sviluppi della crisi, ma soprattutto per la degenerazione dei rapporti internazionali che i colpi di mano di una una grande potenza regionale come la Russia possono comportare. E’lecito immaginare che di tale rischio sia consapevole “zar” Vladimir , che è entrato a gamba tesa nella questione ucraina giocando abilmente (almeno finora) sul filo del rasoio delle accelerazioni e delle decelerazioni, delle occupazioni dissimulate, delle offensive in stand-by. I soldati entrati in azione non avevano insegne di riconoscimento. Il “diktat” alle forze ucraine di abbandonare la Crimea è stato prima annunciato e poi smentito. L'intervento militare è stato approvato dal Senato russo e poi sospeso. E’ probabile che l'obiettivo di Putin sia quello di un distacco della Crimea dall’Ucraina ratificato da un referendun (la popolazione della penisola è a maggioranza russa). Ma si tratta comunque di un azzardo che potrebbe costare caro, alla stabilità internazionale e alla Russia stessa, senza contare –ed è naturalmente l’aspetto più preoccupante – il passaggio dalla “psicoguerra” alla guerra vera e propria. Vale la pena ricordare che parliamo di una regione storicamente segnata dai conflitti, che la politica russo-sovietica contribuì non poco a far incancrenire, a partire dai tempi di Stalin: in Ucraina ancora ricordano l’Holomodor, la tremenda carestia provocava da Mosca tra il 1932 e il 1933 attraverso la consegna manu militari di quote altissime di prodotti agricoli allo Stato. I contadini ucraini morirono a milioni. Il controllo del porto di Sebastopoli rappresenta d’altronde un interesse strategico per la geopolitica russa da almeno due secoli e mezzo, ossia dall’epoca della guerra della zarina Caterina II contro l’impero ottomano. E vale anche la pena ricordare che, sempre dalla Crimea, partirono le truppe per respingere nel 2008 il blitz georgiano in Ossezia, truppe che arrivarono fin quasi alle porte di Tiblisi (in quel caso però la legalità internazionale era stata violata dai georgiani). Ma le ragioni geopolitiche, comunque dissimulate, non possono imporsi nei rapporti internazionali con le modalità della vecchia diplomazia delle cannoniere. L'azzardo di Putin emerge indirettamente anche dalla perentorietà della dichiarazione di Obama, inusuale nella discussione internazionale: "Mosca è dalla parte sbagliata della storia". La forza di pressione della comunità internazionale dipenderà anche da come, non solo degli Stati Uniti ma anche dell'Europa, sapranno essere conseguenti con la condanna formale delle responsabilità russe nella crisi. Il problema, come rilevava qualche giorno fa sul "Corriere della Sera" Franco Venturini, è che Putin dispone dell'arma del ricatto energetico: "E' più probabile che mentre muove le truppe aspetti al varco una Ucraina sull'orlo del dafault". Il problema è anche l'assenza di una vera e propria politica estera europea: alla fermezza britannica e francese si affianca la posizione più flessibile della Germania, particolarmente sensibile alla politica commerciale ed energetica. L'importante, nella partita a scacchi in corso, è che prevalga una semplice ma determinante consapevolezza: in un mondo in cui i princìpi della legalità internazionale sono allegramente calpestati, neanche gli interessi economici possono essere realmente tutelati. Da parte di nessuno.

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