mercoledì 15 ottobre 2014

Renzi ha conquistato lo "scalpo" dell'articolo 18, ma l'Italia rimane nel tunnel

di Aldo Di Lello Matteo Renzi è finalmente riuscito a portare in Europa lo "scalpo" dell'articolo 18, ma la sua strada personale si fa in salita e, ciò che più realmente conta, quella dell'Italia rimane impervia. Proprio nel giorno della vittoria del governo in Senato sul Jobs Act e proprio quando, al vertice straordinario Ue di Milano sul lavoro, il premier riceveva i complimenti della Merkel e degli altri leader europei, proprio in quelle ore, arrivava la doccia fredda del Fmi: "L'Italia, con le condizioni attuali, non è un Paese per cui si possa assicurare un futuro radioso, o quantomeno sereno". Presentando il Country report sul nostro Paese, il direttore esecutivo Andrea Montanino ha rilevato: "La crescita potenziale dell'Italia di fatto crolla per gli anni futuri, siamo inchiodati allo 0,5%". Per l'Fmi, ''le banche italiane hanno fatto progressi ma si trovano ad affrontare sfide e venti contrari ciclici'' . Mai come in questo momento il Paese avrebbe bisogno di coesione vera e di un robusto recupero di responsabilità e consapevolezza. Ma l'Italia rimane smarrita e frammentata, attraversata da rancori e particolarismi. Il fatto più preoccupante è che i messaggi provenienti dalla politica acuiscono, invece di sanare, le divisioni. Gli ideologismi escono periodicamente dalla naftalina per eccitare gli animi allo scontro. La rissa scatenata dai grillini in Senato durante il dibattito sulla fiducia fa il paio con la minaccia primonovecentesca venuta Landini di occupare le fabbriche. E tutto questo dopo aver assistito a una sorta di resa dei conti politico ideologica durante l'ultima riunione della Direzione del Pd. Anche Renzi contribuisce all'isteria generale. Anzi, diciamo che, in questo momento, il vestito del "castigamatti" lo indossa volentieri, al fine di accreditarsi come leader "forte" presso l'opinione pubblica italiana e gli altri leader europei. Ma a Renzi probabilmente sfugge il fatto che conquistare i titoli dei giornali e occupare in permanenza la scena dei media è un esercizio inutile, se poi non si conquista il consenso vero della società. Come ha notato Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, costruire un "consenso nella società e suscitarne le energie è compito più complesso che mediare con i giovani turchi e rintuzzare la vecchia guardia". Dimostrazione chiara di questo limite renziano sono le voci critiche che stanno arrivando in modo sempre più frequente dalla società e dalla pubblica opinione. L'apertura di credito di importanti settori, economici e non, si sta progressivamente esaurendo. La partenza sprint e gli annunci mirabolanti dei primi mesi di governo potrebbe rivelarsi presto un boomerang. Intorno al premier cresce la diffidenza, se non l'aperto dissenso. Nelle ultime settimane sono arrivati due importanti segnali che Renzi farebbe male a trascurare. Uno è venuto dai vescovi ed è stato di inusitata durezza, rispetto allo stile normalmente felpato dei "prudenti pastori". "Basta slogan", ha detto senza mezzi termini il segretario della Cei, Nunzio Galantino. "La Chiesa pensa che bisogna guardare con più realismo alle persone che non hanno lavoro e che cercano lavoro". Il peso di tale critica non dipende solo dall'autorevolezza del soggetto da cui proviene, ma anche da quello che essa rivela in termini sociali. Perché i sensori delle diocesi sono sempre molto avvertiti rispetto al disagio che monta nella società. E, se le gerarchie episcopali utilizzano un linguaggio forte, vuol dire che il grado di esasperazione di molte famiglie italiane sta crescendo in modo preoccupante. L'altro rilevante segnale è venuto dalla pubblica opinione. Non è frequente che il Corriere della Sera, normalmente moderato nei toni e tendenzialmente filogovernativo, si scagli con tanta veemenza contro un premier come accaduto qualche settimana fa con il durissimo editoriale del direttore Ferruccio de Bortoli. Poi i dietrologi si sono scatenati, ma rimane il fatto che nell'azionariato del quotidiano di via Solferino sono rappresentati i maggiori gruppi economici e bancari italiani. Qualcosa vorrà pur dire, anche perché il "Corriere" continua a pubblicare editoriali di critica all'operato del premier. E anche la Repubblica comincia a non essere più tanto tenera con Renzi. Sintomatica è la posizione fortemente critica assunta dal fondatore Eugenio Scalfari. Più in generale, diciamo che il consenso del mondo imprenditoriale, almeno ai massimi livelli, comincia a scemare. Prova ne sia anche il basso profilo, se non addirittura il silenzio, venuto da Confindustria nella vicenda dell'articolo 18. Gli industriali si aspettano da Renzi molte altre cose, in termini di riduzione del carico fiscale sulle imprese, di incentivi alla produttività, di riduzione dei costi energetici, di semplificazioni amministrative. Se questo è lo stato odierno del rapporto tra politica e società, se Renzi non riesce a costruire una vera coesione intorno al suo progetto, se l'Italia, a dispetto di tanti sbandierati nuovismi, rimane prigioniera degli stessi vizi, se accade tutto questo, allora non ci si deve stupire se intorno al nostro Paese c'è ancora tanto scetticismo. E le stime pessimistiche del Fmi, più che fotografare i vizi del sistema economico, sono lo specchio di una patologia politica e culturale ben più profonda e strutturale.

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