mercoledì 15 ottobre 2014

E’ tempo di realizzare l’impossibile

di Giuseppe Tararella
#Partecipa, la manifestazione del 28 giugno a Roma, promossa da Liberadestra è andata bene. Oggi lo possiamo dire grazie al riscontro che ognuno di noi ha avuto parlando con amici, finiani e non, sul territorio. Possiamo ragionevolmente essere felici per il primo risultato. Ma basta Fini allenatore per vincere le prossime partite? Evidentemente no, perchè dobbiamo sicuramente mettere in campo una squadra in grado per tornare a vincere, ma bisogna anche approntare un cantiere per costruire una grande palestra. Un luogo in cui allenare i talenti al servizio non di un rilancio personale, ma di un cambio di testimone; di un “dopo” che non consegni all’oblio e agli archivi una storia che ha invece ancora molto da dire. La storia non è finita dopo il crollo del Muro, la destra politica italiana non è finita e non finirà con la sua atomizzazione elettorale. È finita, ed è finita per sempre, la corsa al posizionamento tattico, la furbesca algebra del modo migliore di spillare soldi e seggi a Silvio Berlusconi, la patetica corsa al grillismo e al salvinismo di complemento. Per questo, nella bella assemblea romana di fine giugno che ha rappresentato il nostro nuovo inizio, Gianfranco Fini ci ha inchiodati per un’ora alla sedia senza pronunciare una sola sillaba di livore o di sprezzo per chi non c’era, per chi non ha saputo, per chi non ha voluto. In quella sede un solitario disturbatore ci ha tenuto ad esprimere rumorosamente il suo dissenso: peccato che abbia preferito farlo nel confortevole buio della platea, arrampicato in piccionaia come un qualsiasi contestatore da loggione, anziché –come avrebbe potuto- intervenendo dal palco come hanno fatto decine di persone, a cui non abbiamo chiesto alcun esame del Dna o “cimice” antemarcia. Perché il cantiere che abbiamo in mente, quello al quale attendono in tutta Italia un po’ di generosi squattrinati, è quello dell’Arca di Noè, non della Torre di Babele. Non è frutto di superbia e di presunzione, con tanto di inevitabile confusione delle lingue, ma di umile amor di Patria. Nel diluvio universale che ha travolto il centrodestra si immola infatti anche una certa idea d’Italia. Non vogliamo essere indotti a scegliere il “compromesso storico bonsai” del Partito Democratico, che ci salvi dai mestatori antinazionali a cinquestelle o padani. Un’altra idea di Patria, un’altra idea di futuro è possibile; purché si sappia edificarla con lunga lena e sforzo, cucendo ed aggregando diversi, includendo e recependo idee e progetti, alleando e consolidando mondi, reti, sensibilità. Non è difficile; di più. Ma non possiamo non farlo. Come dissero i nostri cugini scendendo sui boulevard del Quartiere Latino: dobbiamo essere realisti, chiediamo l’impossibile. Oggi è tempo di realizzarlo.

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