mercoledì 15 ottobre 2014

Senato, quella riforma votata in fretta può fare male all'Italia

di Aldo Di Lello
Nella politica italiana entra di prepotenza il fattore timing. La qualità di Renzi è la tempistica. Non sono più 100 giorni, ma 1000. Fa lo stesso: l'orizzonte temporale delle riforme strutturali sembra definito. Resta da verificare che cosa troveranno realmente gli italiani nei pacchi che si vedranno (o si dovrebbero vedere) recapitati a domicilio nei prossimi mesi. Mai come in questo momento l'ottimismo è una virtù patriottica. Ma il realismo (e un po' di disincanto) rimangono pur sempre le prime, grandi qualità della democrazia liberale. Se ad esempio il pacco della riforma costituzionale contenesse il ddl Boschi così com'è, sarebbe meglio richiuderlo e rispedirlo al mittente. No grazie, non abbiamo davvero bisogno di un Senato senza senatori, ma composto all'ottanta per cento da superconsiglieri regionali capaci di complicare (o comunque di ritardare) le leggi di bilancio. A che servirebbe, a questo punto, riformare il Titolo V della Costituzione se poi lo stesso, sgangherato federalismo, cacciato dalla porta, rientrerebbe dalla finestra? Le perplessità si vanno diffondendo nell'opinione pubblica (e negli stessi partiti che hanno sottoscritto il patto sulle riforme), proprio nelle settimane "decisive" per le sorti del disegno di legge costituzionale. "Ogniqualvolta vi sarà da proteggere le spese delle Regioni - scrivono ad esempio Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera - , la maggioranza assoluta (nel nuovo Senato n.d.r.) sarà pressoché automatica". Il problema è che una sollecita approvazione del ddl Boschi in Senato avrebbe una duplice funzione, che però non c'entra niente con la riforma in sé: rafforzerebbe l'asse Renzi-Berlusconi e permetterebbe a Renzi stesso di presentarsi con un risultato "concreto" al Consiglio europeo del 16 luglio. Non sappiamo quali saranno gli argomenti che i due leader utilizzeranno, alla fine, per far rientrare il dissenso che monta all'interno dei rispettivi partiti (è inutile dilungarsi su quanto si legge in questi giorni nei vari "retroscena" giornalistici). Renzi ha annunciato una "iniziativa forte" per convincere i riottosi. Vedremo di che si tratta. Resta il fatto che il punto decisivo per il premier è il timing: dimostrare ai leader europei di possedere capacità decisioniste in avvio del semestre di presidenza italiano dell'Ue. I malpensanti potranno dire che in questo momento la riforma costituzionale serve a Renzi per fare "ammuina" europea, ancorché le "riforme strutturali" richieste dalla Commissione di Bruxelles e dai severi guardiani del rigore sono di ben altra natura e riguardano essenzialmente la ripresa di competitività del sistema-Italia. Sarà pure lodevole l'intento del premier di strappare alla Merkel qualche punto di flessibilità in più, al fine di ridare un po' di fiato alla boccheggiante economia italiana. Ma le riforme costituzionali (di cui si discute da trent'anni senza risultati apprezzabili) dovrebbero essere tenute fuori dal braccio di ferro europeo. Il rischio è la nascita dell'ennesimo "mostro" istituzionale. E questo l'Italia non se lo può più permettere. Di timing si può anche morire.

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