mercoledì 15 ottobre 2014

Abbattere il debito per innescare la ripresa

di Angelo Romano Con le lenti del buon padre di famiglia la situazione economica italiana rappresenta la negazione assoluta di un comportamento diligente. La "famiglia Italia" è stata gestita, per decenni, senza alcun senso di responsabilità. Si è ipertrofizzata le cosiddetta democrazia, moltiplicando a dismisura le istituzioni ed i centri di costo, spesso fuori controllo. Sono stati concessi privilegi castali, senza che ciò apportasse alcun beneficio alla comunità nazionale. Si è costruito uno stato sociale, non equo, costoso, irrazionale e senza qualità: basti pensare alla sanità affidata a regioni spendaccione che la hanno utilizzata a fini di consenso e "gestionali" più che avendo a cuore la salute dei cittadini. Si è gonfiato a dismisura l'esercito dei dipendenti pubblici. Si è sprecato oltre ogni limite negli appalti e nella realizzazione di opere pubbliche, spesso rimaste incompiute. Si sono dilapidate risorse con interventi a pioggia senza una retrostante strategia. Si è ceduto di fronte ai ricatti della piazza, dietro ai quali a volte si celava il malaffare, con tacitanti "elargizioni benefiche" come quelle ultradecennali agli ex-detenuti di Napoli e Palermo. Che sia da ricercare lì una qualche collusione tra Stato e malaffare? Non si è fatta politica industriale, non è stata elaborata una strategia per la ricerca, non si sono difese le eccellenze italiane a partire dai beni culturali, non si è creata una scuola degna di questo nome, non si è valorizzato il genio italiano. Si è vissuti "a credito" espandendo il debito pubblico e confidando nello stellone. Poi, per cercare inutilmente di allontanarsi dall'abisso, è arrivata la recrudescenza della tassazione, una recrudescenza spinta al punto da fiaccare lo spirito di iniziativa, da congelare la voglia di fare, da spingere le imprese alla delocalizzazione o alla chiusura ed i migliori cervelli a migrare. Spesso ha spinto anche gli imprenditori al suicidio. Poi è arrivata la corsa al salvifico Euro che, a causa dell'enorme debito pubblico, ha dimezzato il potere d'acquisto degli italiani costretti ad accettare un concambio svantaggioso stante il debito pubblico. La stabilità e la forza della nuova moneta il vantaggio, peccato che per eccesso di forza sono rallentate pure le esportazioni. Se almeno, in parallelo, si fossero fatti dei passi avanti verso l'Europa dei cittadini e non dei banchieri la frustrazione sarebbe meno acuta. L'addio alla Lira, tuttavia, non ha portato con sé grandi strascichi. La memoria popolare, si sa, è labile. Difatti il valore dell'equivalenza in lire sugli scontrini da noi è durata qualche settimana, in Spagna ancora è in uso, Che sia accaduto perché non era opportuno che gli italiani capissero? Sta di fatto che, anche con l'Euro, si è continuato a spendere e ad espandere il debito senza mai porsi il problema del rientro. La sveglia ad un certo punto l'ha data l'Europa: senza conti in ordine non solo non si cresce ma si mette a rischio l'intero sistema europeo e dell'Euro. E sono arrivate, sotto gli occhi vigili del Cerbero teutonico, misure quali i patti di stabilità, i fiscal compact, le troike, i monitoraggi, i limiti agli aiuti di Stato, che oggi vengono definite, per lo più dai denigratori, "politiche di austerità". Tali politiche, non di austerità ma di buon senso, ancorché accettate e sottoscritte da tutti i Paesi membri dell'Unione, per effetto di una crisi economica globale senza precedenti, hanno cominciato ad essere criticate da più parti, finanche derogate come ha annunciato di voler fare la Francia, che pure ha un debito galoppante e come già fece la Germania. Eppure, la virtuosa Irlanda, dopo averle scrupolosamente applicate ha ripreso a crescere al tasso del 7% annuo. Il governo Renzi che culturalmente si colloca nel "partito della spesa" ha cominciato a mordere il freno, persino l'austero Padoan ha mostrato qualche segno di insofferenza verso il fiscal compact. Qualcun altro, non si sa bene ispirato da chi, sta promuovendo un referendum per abolire le norme più stringenti che l'Italia si è data in un guizzo di resipiscenza arrivato nel momento sbagliato, quando si pensava, non senza supponenza, che il "Salva Italia" avrebbe davvero sortito qualche salvifico effetto. Che fare? Rompere con l'Europa e le sue regole, rischiando pesanti sanzioni, o trovare una soluzione alternativa? Forse si potrebbe cominciare aggredendo l'immane debito pubblico. Questa sì una riforma utile e vantaggiosa. Piuttosto che fare spezzatino dei gioielli di famiglia, "privatizzandoli" all'italiana e senza sostanziali benefici, non sarebbe ora di costituire un "Fondo Italia" in cui mettere tutti i beni pubblici, mobili e immobili (si stima un valore di 600/700 miliardi). A tale fondo andrebbe garantita una gestione trasparente e professionale, poi le quote si potrebbero offrire, in concambio, ai detentori di debito pubblico, i quali ci guadagnerebbero nell'ottenere in cambio di un semplice pagherò dello Stato, quote con sottostanti beni reali, passibili di incremento di valore nel tempo e con probabili dividendi superiori ai tassi sui titoli. In tal modo si potrebbe ridurre di un terzo il debito e di più di un terzo gli interessi sul debito per effetto del minor rischio sulla massa complessiva. In altri termini: una trentina di miliardi cash per avviare la ripresa senza tradire gli impegni assunti con l'Europa. Angelo Romano

Nessun commento:

Posta un commento