mercoledì 15 ottobre 2014

Nell’era digitale salviamo i luoghi di diffusione culturale

di Giuseppe Farese
In una stagione in cui anche la cultura tende a smaterializzarsi e viene assorbita dalle nuove tecnologie, diventa dirimente tutelare i luoghi “fisici” di diffusione culturale. La scomparsa dei presidi culturali, infatti, porta con se  l’affievolirsi dell’identità dei nostri centri storici, ridotti ormai a luoghi indistinti in cui a farla da padrone sono le grandi catene di distribuzione internazionale e i lounge bar. In un articolo scritto per Liberadestra qualche mese fa, avevo segnalato il triste fenomeno della scomparsa, nelle città italiane, delle piccole librerie indipendenti: da Nord a Sud si registra un lungo elenco di chiusure che riguarda, nella maggior parte dei casi, le librerie con una lunga tradizione alle spalle. Pesano, certamente, gli alti costi di gestione, in primis i canoni di locazione, ma anche il calo dei consumi dovuto, tra gli altri, all’avanzare delle nuove tecnologie: l’ e-book, infatti, rappresenta ormai una realtà consolidata e delinea nuove forme di fruizione letteraria. Il tutto si verifica mentre tra i lettori rinasce il desiderio di sfogliare le pagine di un libro, riscoprendo, in tal modo, il gusto antico e tradizionale della lettura. Si moltiplicano, così, iniziative itineranti di associazioni e di singoli per riportare la cultura e i libri nei centri storici. E’ di questi giorni la notizia di un libraio in pensione che gira le cittadine della Basilicata e della Campania, sprovviste di librerie e biblioteche, con un motocarro carico di libri, cercando di risvegliare tra i cittadini la passione per la lettura e rivalutando la “polis” come centro di diffusione del sapere. Nel precedente articolo avevo provato ad elncare una serie di proposte utili a mettere in salvo le librerie storiche. Riconoscimento alle stesse dell’attribuzione di luoghi di interesse storico-culturale, riduzione dei costi di gestione in seguito ad accordi tra Comuni, associazioni dei commercianti e proprietari dei locali, riconoscendo a questi ultimi aliquote Imu agevolate nel caso in cui concedano i locali in fitto a canoni contenuti e garantiti per un certo numero di anni. Ma anche provvedimenti atti a rilanciare il consumo tradizionale di libri con una politica di detrazioni fiscali a favore dei consumatori. In tal senso, a dire il vero, si era mosso lodevolmente il governo Letta, con una legge approvata dal Consiglio dei ministri che permetteva di detrarre il 19 per cento sui libri acquistati fino ad un massimo di duemila euro all’anno(mille per i libri in generale e mille per i testi scolastici). Peccato che in corso d’opera il provvedimento sia stato completamente stravolto, riducendo la detraibilità, limitandola ai soli testi scolastici e sostituendo i destinatari del provvedimento: dal lettore-consumatore agli esercizi commerciali, vale a dire i librai. Nel frattempo, mentre le librerie lentamente muoiono, si apre un altro fronte in tema di crisi dei centri di diffusione culturale. Riguarda, in questo caso, i cinema cittadini. Alla data dello scorso 31 dicembre scadeva, infatti, il termine, per le piccole sale cinematografiche, per dotarsi delle nuove apparecchiature di proiezione digitale che hanno sostituito i vecchi proiettori a pellicola. L’ingente investimento per la digitalizzazione ha però costretto alla chiusura tanti piccoli cinema che non sono riusciti a far fronte al nuovo capitolo di spesa. Così, nei primi mesi del 2014, gli appassionati del cinema sono rimasti orfani di tante sale cittadine che rappresentavano un consolidato punto di riferimento per i loro gusti cinematografici. Al contempo  i centri storici sono stati privati di un pezzo significativo della loro identità, di luoghi di ritrovo abituali in cui trascorrere una serata al cinema alla vecchia maniera. La crisi dei cinema cittadini è influenzata, certamente,  dall’avvento dei multisala che attirano, ormai, la stragrande maggioranza del pubblico. E’ vero, però, che in alcuni Paesi europei, come la Spagna, dove pure negli anni scorsi si è verificato il boom dei multiplex, si assiste alla lenta riapertura delle sale cittadine considerate, ormai, patrimonio da non disperdere. Anche il nostro Paese deve riconsiderare l’importanza identitaria e culturale dei cinema di città, prevedendo,ad esempio, che la costruzione di nuovi multiplex avvenga tassativamente al di fuori del territorio cittadino. Oppure dirottando parte dei proventi derivanti da un’eventuale web tax(di cui si è tanto discusso negli ultimi mesi)in un fondo nazionale per le sale cinematografiche indipendenti. Qualche idea sui contenuti arriva, invece, dagli stessi gestori dei cinema cittadini: qualcuno, ad esempio, ha già sperimentato la riproposizione in sala di vecchi classici del cinema, restaurati e tornati a nuovo splendore. Il ritorno in termini di pubblico è stato soddisfacente perché l’idea rappresenta un’alternativa di qualità alla programmazione, spesso troppo commerciale, dei multisala. Librerie, sale cinematografiche ed edicole(anche esse in forte crisi con l’aumento degli abbonamenti on line ai quotidiani), in definitiva, sono un patrimonio di cui il nostro Paese non può fare a meno, pena una lenta e inesorabile decadenza civica e culturale.

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