mercoledì 15 ottobre 2014

Elezioni Europee 2014: la parola a una diciottenne

di Federica Cresto
Le elezioni del 25 maggio dovrebbero essere anche le elezioni dei ragazzi europei. Così almeno sembrerebbe in teoria. In base a recenti sondaggi, la maggior parte dei giovani dell’UE risulta infatti preparata politicamente, quanto decisa a partecipare con convinzione alle consultazioni: dovrebbero essere interessati due giovani su tre. Inoltre, secondo l’Eurobarometro, gli under 25 italiani sarebbero più attivi politicamente dei loro coetanei del resto d'Europa. Un ottimo dato, se paragonato alla scarsissima affluenza giovanile nelle passate elezioni. Secondo i dati del Forum Europeo della Gioventù, infatti, il tasso di partecipazione giovanile alle consultazioni del 2009 è stato del 29 % (nel 2004 si era attestato intorno al 33%), con un’astensione del 79% tra i giovani di 18-24 anni. Che i sondaggisti abbiano ragione e la tendenza sia radicalmente mutata? A mio parere no. Almeno, non in Italia. Nel Belpaese, infatti, astensionismo e partecipazione tiepida sono le parole d’ordine della maggior parte dei miei coetanei di fronte all’ormai prossima tornata elettorale. E’ sufficiente ascoltare i dialoghi dei ragazzi dell’ultimo anno di liceo o dei giovani universitari per rendersi conto di una profonda disaffezione per la politica europea, le cui cause sono da ascrivere indubbiamente sia alla linea adottata dai partiti radicati nel territorio nazionale sia a quell'assenza di stimoli ideali che, ci duole ammetterlo, sta diventando un tratto saliente della società contemporanea. In primo luogo, occorre considerare che i giovani non sarebbero refrattari a priori, per natura, alla politica europea, ma lo sono purtroppo diventati con il tempo: l’enorme frammentarietà dei partiti crea un disorientamento generale e il continuo cicaleccio di certa stampa sui piccoli drammi privati dei parlamentari, che ormai paiono intessere la trama politica, non fa altro che spingerci a sprofondare in un pantano morale da cui è ben difficile trarsi fuori indenni. Insomma, maiora premunt: è l’ora di finirla con la linea della “mors tua, vita mea”. È l’ora di finirla con i programmi preparati a puntino per gambizzare gli avversari; mai, storicamente, si è sentita l’esigenza di abbattere un edificio, un luogo di valori e idee, senza poi farvi seguire una nuova costruzione ideale, che si fondasse su nuovi fondamenti e nuovi pilastri ideologici. La mancanza di incisività dei programmi proposti dai partiti rappresenta, senz’ombra di dubbio, una delle principali cause della perdita di interesse dei giovani italiani nei confronti della politica, poiché, sostanzialmente, essi non si sentono sufficientemente coinvolti nel nuovo modo di fare politica In secondo luogo, vi è una cappa di generale ignoranza che aleggia sugli “Italiani brava gente”: pochi sono i ragazzi che, alla vigilia delle europee, hanno un’idea chiara e precisa riguardo ai candidati o ai partiti in lizza. Per non parlare della strutturazione dello stesso Parlamento europeo. Se una buona percentuale di colpa è ascrivibile ai partiti, non si può negare che moltissimi sfoglino raramente le pagine di un quotidiano e ascoltino una tantum telegiornali o giornali radio, nonostante il 7° rapporto Censis/Ucsi affermi il contrario. Una volta si diceva “non c’è più religione”; oggi si direbbe “non c’è più cultura”. Purtroppo, la pigrizia e il disinteresse generale, che si sono andati via via imponendo nel corso degli ultimi anni, sono un problema sociale che non può essere ignorato: bisognerebbe chiedersi che cosa sia la cultura, perché il livello di consapevolezza dell’italiano medio stia subendo progressive regressioni che risultano, nel lungo tempo, sempre più gravi. E la verità è che in un’epoca in cui si può avere accesso a tutto, molti non hanno accesso a niente. E non si tratta qui dei diritti umani tanto celebrati dalla metà degli schieramenti politici (diritti di cui si riempiono la bocca per fare bella figura in campagna elettorale, e di cui spesso si dimenticano improvvisamente già dal periodo immediatamente successivo): si tratta di pensiero. Puro. Semplice. Razionale. L’essenza stessa dell’uomo. In un’epoca in cui i buffoni si lanciano in politica e i politici smaniano per fare i buffoni, si è persa l'abitudine alla razionalità , e solo una sua riscoperta potrebbe sanare, in parte, la piaga giovanile dell’ignoranza politica. Che ognuno si domandi allora “cos’è politica”, “qual è la sua utilità”, “cosa può dare al Paese” e cerchi una risposta secondo il suo proprio modo di sentire. Una risposta che tocchi nel profondo le sue corde, arrivando almeno alla comprensione di ciò che egli stesso intende per politica o di quello che si aspetta dai risultati elettorali… sempre ammesso che si cerchi di rispondere alla domanda e che non ci si limiti ad ammutolire dalla stupefazione. Soltanto così sarà possibile uscire dalla paralisi del “non mi interessa” e chiudere finalmente il cortocircuito che aveva portato alla reciproca, negativa influenza della cattiva politica e dei cittadini svogliati. La diagnosi è complessa, ma la ricetta è semplice: prendersi anche solo pochi minuti al giorno per riflettere sul mondo che ci circonda. Abituarsi a pensare. Sembra banale, ma quasi nessuno lo fa più.

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