mercoledì 15 ottobre 2014

Rapporto McKinsey: giovane italiano senza skills, ma ottimo pungiball

di Elisa Mauro
I giovani italiani? Poco adatti a lavorare, non conoscono l’inglese, non frequentano stage di perfezionamento professionale. Lo scrive nel suo rapporto su educazione e formazione il centro di ricerche McKinsey, a seguito di uno studio condotto su otto Paesi Ue. Si legge: «Il 47% dei datori di lavoro italiani riferiscono che le loro aziende sono danneggiate dalla incapacità di trovare i lavoratori giusti, e questa (italiana, ndr) è la percentuale più alta fra tutti i Paesi esaminati», come a dire il problema è di chi assume, ma è meglio far passare i giovani per inetti, avendo questi spalle larghe ormai. Qui i giovani mancano di skills, attitudini e capacità. E come se non bastasse: «Non è una cosa positiva vedere un ampio numero di giovani scommettere il loro futuro su industrie in decadenza». Spiace che all’interno del rapporto non si scorgano riferimenti a fattori atti a capovolgere l’esito della ricerca. Se è vero, infatti, che le imprese lamentano la mancanza di attitudini e che i ragazzi ricoprono in azienda (magari a conduzione familiare) ruoli improvvisati, è pur vero che ciò si deve alle richieste di prestazione di servizi – per lo più creativi o di beni immateriali – in cambio di “prestigio”. Come la campagna di sensibilizzazione per il rispetto dei lavori creativi, ormai diventata virale e promulgata da ZERO, mostra esaustivamente. Non sapendo se con le stesse modalità si acquisisce un lavoro nella restante Ue, siamo convinti che in Italia il responsabile delle risorse umane utilizzerà la tattica del rafforzamento del curriculum, del lustro, del “tutto da guadagnare”, sì, ma con i soldi dell’aspirante lavoratore. E ancor più importante è, come spiega lo stesso Dario Di Vico sul Corriereriportando i dati di Unioncamere, la parola autoimpiego che in Italia sta assumendo un’importanza fatale. Il 34% delle imprese aperte ha un titolare under 35. Gli stage, spesso non retribuiti e senza chance di assunzione, qui in Italia rappresentano per i quasi 5 milioni di giovani inattivi un pretesto da parte dell’impresa italiana per ottenere forza lavoro in cambio di nulla. Per questo: «La pura necessità di trovare un nuovo sbocco lavorativo o comunque un lavoro stabile è la causa dell’auto impiego per il 36,4% dei giovani sotto i 30 anni».Inoltre,autorealizzazione e disillusione rappresentano elementi che giovano a questo epocale cambiamento, dove tradizione e innovazione determinano le nuove realtà in crescita, che partono in media con un ammontare di cinque mila euro e resistono alla crisi per il know how di specializzazione. La ricerca McKinsey non considera strategia, coraggio e selfmade tra le caratteristiche dei nostri giovani. Su queste è necessario far leva, incentivando microcredito, sussidi, prestiti agevolati, assistenza gratuita, eliminando quel tetto di 30 mila euro annui per le partite iva, che disincentiva ulteriormente la crescita, facendo desistere i liberi professionisti dall’assumere ulteriori commesse. Poche e semplici battute per un piano del lavoro (o come piace dire, Jobs Act)ancora da scrivere.

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