venerdì 17 ottobre 2014

Luci e ombre della rete, la riflessione dopo l'euforia



di Domenico Lofano


Mi metto offline cinque minuti, dieci al massimo. Giusto il tempo minimo per interrogarsi su quello che ci circonda, per chiederci se siamo effettivamente padroni di noi stessi, del nostro destino, della nostra vita. Di tempo, in realtà, ne servirebbe molto di più perché la riflessione da fare è piuttosto seria e merita attenzione. Ma, almeno questa è la percezione, non ne abbiamo molto: siamo eternamente connessi, pervasi dalle tecnologie, costantemente reperibili con scambi di email, sms e controllo sui social network.

Federico Rampini, nel suo libro “La rete padrona”, ci spinge proprio a far questo: interrogarci sui cambiamenti in atto, capire come si è trasformato il capitalismo e chi sono i nuovi, veri padroni. L'affermazione della rete rimane certo un nuovo e fondamentale strumento di democrazia, di informazione, di crescita civile, di comunicazione, uno strumento che abbatte barriere sia geografiche sia culturali. Ma, dopo gli anni della scoperta e dell'euforia, è venuto il momento della riflessione più matura e consapevole sulle criticità che i new media stanno dimostrando nella fase del loro consolidamento. Ed è superfluo avvertire che interrogarsi su tali criticità è la premessa necessaria per consentire alla rete di sviluppare tutte le sue grandi potenzialità di democrazia e di miglioramento della qualità della vita. Un interessante dibattito - di cui il libro di Rampini non è che una delle tante espressioni - si è sviluppato negli ultimi anni tra esperti e semplici utenti, un dibattito cui non può essere insensibile chiunque sia interessato alla qualità e al livello del processo di circolazione delle idee e delle informazioni.
E allora, senza farsi prendere da tecnofobie o strampalate volontà di ritorno al passato, non è vano chiedersi se per caso la rete non si è ormai impossessata, per molti aspetti, di noi: da strumento che doveva permetterci di impadronirci del nostro tempo, è lei invece a gestirlo? Con un semplice clic accediamo a tutto lo scibile umano, cosa senz’altro positiva ma che ci sta rendendo più superficiali, distratti e immersi in una marea di cose irrilevanti con conseguenze sulla nostra creatività, sempre più frustrata.

Facebook ha alterato il concetto di amicizia, con grandi vantaggi da un lato ma altrettanti elementi negativi dall’altro. Accediamo a tante informazioni, siamo in contatto col mondo ma al tempo stesso lasciamo infinite tracce su cosa pensiamo, dove stiamo, cosa facciamo e chi frequentiamo. Informazioni che i colossi della Rete, i nuovi padroni, gestiscono a fini commerciali se va bene, o peggio per controllarci e spiarci. Le grandi startup innovative come Google, Amazon, Facebook e Twitter, nate da spiriti libertari, sono diventati dei "mostri" del capitalismo, amati e corteggiati dalla Borsa. Siamo più efficienti ma i nostri salari non sono aumentati, anzi. Le uniche grandi ricchezze che si sono formate sono state proprio quelle dei grandi colossi della Rete. Apple e Google fanno beneficenza, ma compaiono entrambi tra i più grandi elusori fiscali al mondo e la prima ricorre allo sfruttamento di operai cinesi. Pensiamo di esser liberi ma l’algoritmo di ricerca di Google, che non è affatto neutro ma costruito in modo da far comparire ai primi posti società direttamente controllate da Mountain View o dispose a pagare pur di vendere prodotti, ci dovrebbe far riflettere. E la nuova guerra fredda è anche una lotta tra hacker. Il bilancio tra costi e benefici di questa trasformazione del capitalismo, di questo straordinario sviluppo delle tecnologie, per ora, resta positivo. Sta ad ognuno di noi però riflettere attentamente sui cambiamenti in corso, sullo sviluppo delle nuove tecnologie per imparare a difenderci e restare padroni del nostro destino.





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