mercoledì 15 ottobre 2014

Taranto: mafia infame, coscienze assopite

di Elisa Mauro
Non esiste una fiaba che parli di mafia. Né codici deontologici o morali rispettati dal malaffare e dalla connivenza. I postulati semplici che attengono alla base di ogni organizzazione criminale sono chiari: errore, morte. E la morte non distingue tra il bene e il male. Non l’ha mai fatto neppure la mafia. La criminalità organizzata a Taranto, come nel resto d’Italia e del mondo, la si voglia intendere come figlia o come madre di un processo pseudo evolutivo secondo cui ora è persino indottrinata, è sempre la stessa. Proviene da un assioma banale, e quindi di facile comprensione, che col tempo si è visto maturo, spettacolarizzato, idolatrato. Per quanto si tenda a romanizzarne l’aspetto secondo cui essa è attaccata alle radici e oltre non vuole andare fa, ieri come oggi, stragi d’innocenti. Fa di cittadini onesti, di bambini, di donne, e di tutti noi, le vittime della efferatezza umana. La ferocia della mafia, che a Taranto non ha un suo nome specifico, a differenza di quella derivazione salentina (Sacra Corona Unita, ndr), sta nel fatto che è indipendente dal suo nucleo, perché la microcriminalità lì è talmente vasta e poderosa da aver colto i suoi frutti migliori grazie all’operosità di piccole famiglie, di piccoli clienti che ogni giorno si davano da fare tra furti, spacci e rapine a mano armata. A Taranto la microcriminalità guida la macrocriminalità, perché i suoi adepti sono liberi, senza regole, senza prospettive. Per questo ieri hanno ammazzato un uomo, una donna e un bambino, lasciandone vivi altri a due. Non per rispetto, né per pietà. La mafia, ammazzando un figlio di tre anni (forse utilizzato come scudo dal suo stesso padre), ne ha ammazzati tre contemporaneamente, mettendo in scena un orribile spettacolo che i due ragazzi scampati, una volta uomini, non sapranno cancellare più dagli occhi. Ha mostrato alle vite illese che errore porta ad orrore e che sbagliare non salva con la mafia. Perché la mafia non educa, non integra, non rispetta, sebbene una certa tradizione in voga voglia far credere il contrario. Un bambino perde la vita. E noi piangiamo. Gridiamo la rabbia e il rancore che ci portiamo dietro da culture e culture, da bocca in bocca. “La mafia è una montagna di merda”, - scriveva Peppino Impastato. Senza fertilizzanti, perché da quella non nasceranno mai né fiori né frutti, ci aggiungiamo noi. E mentre piangiamo il dolore per quel piccolo, come fosse figlio nostro - “dolore prima di tutto di padre”, dice il Premier Matteo Renzi - , proviamo a spiegare a quei due bambini, rimasti incredibilmente illesi, che sanno di poter contare su una società che detesta la criminalità, piuttosto che su una amalgama di nulla dove si ammazzano innocenti e la vendetta è solo il pretesto o un altro nome per definirsi inutili. Non dimentichiamo, dunque, di questi ragazzi che hanno visto morire padre, madre e fratello, spieghiamo loro piuttosto che è fondamentale essere educati, confortati, migliorati dallo Stato, l’unico in grado di riscattare le vite spezzate di ieri e di oggi.

Nessun commento:

Posta un commento