mercoledì 15 ottobre 2014

Il cacciatore di vento. Una storia tristemente italiana

di Angelo Romano
L’atmosfera terrestre, da 500 a 10.000 metri di altitudine, è percorsa da due nastri di venti quasi costanti - circa 7.000 ore l’anno sulle 8.760 che compongono un anno (a livello del terreno nei siti più ventosi la media è di circa 1800 ore anno) e larghi 4/5mila chilometri. Uno percorre l’emisfero australe all’altezza della Terra del fuoco, l’altro scorre sull’Europa. La potenza dei venti “europei” (15 metri al secondo) è di 200 watt per metro quadro (il fotovoltaico genera dai 10 ai 20 watt per mq). Ciò significa che una sezione di vento larga 1000 metri all’altezza di 1000 – 1200 metri ha una potenza pari a quella di una centrale nucleare di medie dimensioni. Il primo ad ipotizzare lo sfruttamento energetico di tali correnti fu dell’ingegnere elettronico americano Miles L. Loyd che nel 1980 pubblicò i risultati delle sue analisi (Crosswind kite power) e brevettò l’idea, ma i tempi non erano maturi e non esistevano tecnologie adeguate. Poi è arrivato Massimo Ippolito, geniaccio e caparbio industriale italiano, che ispirato dai surfer che si innalzano in volo sulle onde trainati da un aquilone, ha avuto l’idea di un generatore a venti d’alta quota e lo ha chiamato KiteGen. Dopo alcuni anni di messa a punto del progetto e di risoluzione dei molti problemi tecnici, Ippolito ha trovato il modo di catturare efficacemente i venti di alta quota grazie a profili alari di potenza computerizzati, (ossia ali ad elasticità programmata da 100 a 200 mq), agganciati, tramite due cavi regolabili indipendentemente ad una struttura girevole. La forza di trazione esercitata sui cavi dal profilo alare spinto dal vento viene trasformata in energia elettrica da un alternatore e immessa in rete dopo essere stata accumulata in speciali batterie a superconduttori per stabilizzarla e renderla idonea alla rete. Questo sistema consente di produrre energia al costo di 0,03 Euro per Kwh, sensibilmente al di sotto sia dei fossili che delle rinnovabili oggi in uso. Anche i costi di impianto sono incomparabilmente più bassi di qualunque altro tipo di centrale. Come altre centrali o stabilimenti una centrale KiteGen necessita di un’area di interdizione al volo larga un miglio marino ed alta 1500 metri. Tali centrali possono essere anche collocate in mare su particolari boe galleggianti o su mezzi mobili. Nel 2010, in provincia di Cuneo, è stato realizzato il primo prototipo statico da 3 Megawatt (vedi foto), non senza intoppi burocratici e incomprensibili proteste popolari. Il progetto, pur essendo stato selezionato ad accedere ai Fondi per l’Innovazione Tecnologica (2005) ed Energia (2006), non ha ricevuto alcun sostegno pubblico da parte italiana. Solo l’Unione Europea, valutandolo eccellente, ne ha finanziato con 3 milioni di Euro la tranche relativa alla possibilità di utilizzare profili alari sulle navi (2008). Da allora solo investitori privati hanno sostenuto il progetto, da ultimi gli arabi. Il gruppo KiteGen, difatti, è stato partecipato nell’Aprile 2013 da SABIC Ventures – il Venture Capital di Saudi Arabian Basic Industries Corporation (SABIC) – ed è attualmente coinvolto, come fornitore di tecnologia per la generazione elettrica, nel grande progetto di impianto Carbon (CO2) Capture & Utilization (CCU) in costruzione a Jubail Industrial City, una grande area industriale sulla costa del Golfo Persico. L’impianto Saudita CCU di Jubail City è progettato per comprimere e purificare 1500 tonnellate al giorno di anidride carbonica (CO2) proveniente dagli adiacenti stabilimenti petrolchimici. Tale gas, anziché essere immesso in atmosfera, come usualmente avviene nelle lavorazioni petrolchimiche, sarà utilizzato come una delle materie prime necessarie nella produzione di urea, ammoniaca e metanolo. I primi due sono componenti indispensabili per la produzione di fertilizzanti, il terzo è utilizzabile come carburante o come base per numerosi prodotti petrolchimici. I processi CCU non sono una novità, l’innovazione consiste nell’utilizzare energia elettrica rinnovabile a bassissimo costo prodotta da KiteGen per rendere economicamente conveniente riutilizzare la CO2 emessa dalle attività industriali. Complessivamente il progetto consentirebbe di evitare emissioni pari a 500.000 tonnellate di CO2 annue, equivalenti a quanto emesso annualmente da 2,6 milioni di veicoli, e rappresenta il più avanzato, riproducibile e promettente metodo per invertire l’inesorabile e pericoloso processo di cambiamento climatico dovuto alle emissioni di gas serra, in particolare CO2. KiteGen sarà responsabile per l’ingegneria e la tecnologia, per il progetto di dettaglio, la realizzazione e la manutenzione. Le tempistiche del progetto prevedono la produzione in serie di generatori KiteGen per il 2015 e l’impianto pilota nel 2016. L’impianto di Jubail City sarà il primo progetto CCU di grandi dimensioni realizzato in Arabia Saudita, allo scopo di realizzare la strategia di sostenibilità ambientale intrapresa da SABIC, seconda compagnia saudita dopo Aramco ed uno dei più grandi gruppi industriali del mondo nel settore chimico. Il progetto KiteGen sarà, infatti, una delle colonne portanti del programma saudita da 66 miliardi di $ destinato a fornire energia rinnovabile per la desalinizzazione di acqua marina destinata a dissetare l’arida penisola arabica. L’approccio saudita è infatti molto pragmatico, utilizzeranno gli ingenti proventi petroliferi per valutare ed acquisire le più promettenti tecnologie per la produzione di energia rinnovabile. Non si può non gioire se un progetto avanzato, tutto italiano, ha successo e riconoscimenti. Quello che non si può tollerare è la miopia assoluta dei nostri governanti e dei nostri burocrati, l’incapacità quasi congenita a comprendere e sostenere l’innovazione, l’inadeguatezza costante a tutelare e valorizzare le risorse della nazione, la mancanza sconsolante di intuito strategico.

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