mercoledì 15 ottobre 2014

Etica ed estetica della nuova Europa

di Cristofaro Sola
Per una volta, contravvenendo ai miei specifici interessi culturali, vorrei occuparmi di abbigliamento. Avete compreso bene: di abbigliamento. Ma non si tratta di commentare una sfilata di moda o di analizzare un qualsiasi capo di vestiario confezionato più o meno all’ultimo grido, piuttosto di quell’unico vestito il cui significato simbolico ricade in differenti territori: dalla politica, all’economia, all’etica. Parlo del completo scuro, un tailleur giacca /pantaloni, con il quale la cancelliera tedesca Angela Merkel si è presentata al suo terzo giuramento solenne da Primo Ministro. Qualcuno ha sbrigativamente interpretato la scelta di perseverare nello stesso abbigliamento delle precedenti cerimonie come un fattore scaramantico. In realtà viene difficile di credere che la tetragona ragazza cresciuta a Est, in quel Brandeburgo divenuto suo malgrado patria di un socialismo reale che fu lì più duro e miserabile di quanto non lo fosse nella terra dei suoi ideatori, potesse farsi scalfire dalla vacuità di un atteggiamento superstizioso. Nella sua uniformità di stile vi sarebbe per intero l’oggettivizzazione spersonalizzante del conformismo, del “sempre uguale”. Tuttavia, spicca un elemento di originalità: per un impegno così importante e ricco di significato, la cancelliera attraverso il suo look, che non è la negazione dell’estetica al contrario è partitura riscritta di quell’estetica della politica ancestralmente presente nello spirito tedesco, ha inteso trasmettere messaggi agli interlocutori, più di quanto potrebbero fare molti bei discorsi di circostanza. Allora, che cosa avrebbe inteso comunicare la signora Merkel con il suo austero abito? Principalmente un’idea strategica che ha scaturigine da una visione etica della missione dei governanti che statisti e politici nostrani hanno difficoltà a comprendere. Si tratta della rappresentazione materiale, filtrata attraverso un messaggio simbolico, della cultura dell’Austerità dei costumi a cui la Germania ha da sempre guardato come fattore identitario del patto sociale che lega i cittadini tedeschi alle istituzioni del proprio Stato nazionale. E’ la parsimonia declinata attraverso la lettura delle pagine dell’etica kantiana che indugia nel lodare la virtù del contentarsi di poco senza per questo essere il “babbeo” che per avarizia “ha gabbato se stesso prospettandosi il godimento soltanto come speranza”. L’idea di evitare il possibile spreco, espellendo ciò che può essere superfluo dal ménage di vita di ogni tedesco, ricondursi all’essenziale che risponda a criteri di funzionalità e di razionalità evitando ridondanze, è l’imperativo categorico di una società abituata, nonostante le sconfitte subite, a sfidare il futuro senza remore o timidezze. E’ l’etica, dunque, la musa ispiratrice dello spirito tedesco. Ma di etica rude si parla, non di quel tipo che si limita a blandire. Dovremmo forse dire la Kultur che, per Thomas Mann di Considerazioni di un impolitico, del 1918, si traduce in uno speciale impasto fatto di arte, religione, filosofia, tutte intrinsecamente germaniche. Nel tempo la Kultur si è di poco modificata. Si è aperta all’apporto di nuove esperienze e al confronto con altre realtà provenienti dal maggiore contatto con gli Stati dell’ Unione europea e, più in generale, con quelli del sistema dell’Occidente sviluppato. Ciò nonostante la “Kultur”dominante ha fatto da sfondo alla grande ripresa postbellica prima della sola Germania Ovest e dopo, a partire dal 1989, dell’intera nazione tedesca riunificata. Oggi, essa connota l’idea che i tedeschi hanno dell’attuale processo di unificazione europea. Nella stagione della critica al modello che Dostoevskij chiama “radicalismo cosmopolitico”, fondato sull’idea prevalente di una civilizzazione diffusa, incarnata, al suo apice, dalla società dell’umanità, le culture sono ricondotte a un unico piano sostanziale chiamato a sostenere le ideologie imperanti della produzione industriale, coniugata col paradigma consumistico. In questa proiezione di appiattimento, nella quale il consumo incarna il bisogno nell’”uomo soggiogato” del nostro tempo storico, la scriminante dello spirito germanico non avrebbe più diritto di esistere. Secondo Mann, che a sua volta cita Dostoevskij, “L'aspetto caratteristico, essenziale di questo popolo grande, orgoglioso e singolare, è consistito sempre, fin dal primo momento in cui fece la sua apparizione nel mondo della storia, nel fatto che mai, né nei suoi destini, né nei suoi principi, ha accettato di unificarsi con l'estremo mondo occidentale, cioè con tutti gli eredi dell'antico patrimonio romano. Contro quel mondo lo spirito tedesco ha protestato per tutto il corso degli ultimi duemila anni e, anche se non ha pronunciato il proprio verbo non ha formulato in contorni precisi il suo ideale, che sostituisse positivamente l'antica idea romana da lui stesso distrutta, tuttavia, credo, in cuor suo quello spirito è stato sempre convinto che prima o poi avrebbe saputo pronunciare questo nuovo verbo e guidare con quello l'umanità". [...]. E oggi pare che quel momento sia giunto. Ciò che il governo di Berlino sta facendo scontare, in termini di rigore nella gestione delle risorse pubbliche, ai Paesi dell’area mediterranea ha molti punti di contatto con l’idea che fu di Mann e di tanti altri pensatori tedeschi, della “differenza di mentalità” germanica la cui “ragione morale” è fondata nel suo “protestantesimo” organico e storico. Più che dalle teorie economiche di Wolfgang Schäuble, la politica estera tedesca sembra ispirata dalle tesi di Lutero e dal “protestantesimo” dei suoi odierni “prìncipi” in lotta contro una politica “romana”, nella sua accezione cinquecentesca, destinata, se non debitamente affrontata e sconfitta, a depredare il popolo tedesco delle proprie ricchezze allo scopo di coprire il “buco” prodotto nei conti pubblici per finanziare lo spreco e il lusso delle corti/cancellerie”dei Paesi del Sud Europa. Vi è una nuova filosofia morale, che codifica norme universali per l’agire, veicolata attraverso la contrazione del flusso di moneta circolante, nelle diverse realtà sociali che prende di mira. Un esempio per tutti. Il solo costo dell’apparato burocratico statale tedesco costa un terzo in meno di quello italiano, servendo una popolazione più numerosa con prestazioni mediamente superiori a quelle nostrane. La nostra classe dirigente invoca la coesione per i sistemi sociali della UE. La moneta unica, protestano gli italiani, deve ricevere la copertura di un garante di ultima istanza che, nel caso specifico, potrebbe essere la B.C.E.. Sarebbe equo, per gli italiani come in genere per gli altri popoli dell’Europa del Sud, che la Banca centrale europea coprisse i debiti di tutti gli Stati aderenti con l’emissione di propri titoli di credito. Una tale idea per la Germania che si riconosce nella Merkel è pura follia. È sufficiente ascoltare i gettonatissimi corrispondenti della stampa tedesca, presenti stabilmente in Italia, per rendersi conto della realtà. Perché, essi dicono, i tedeschi dovrebbero pagare i debiti degli italiani o dei greci o dei portoghesi o degli spagnoli? Non vale l’obiezione che contrarre il flusso di danaro circolante, bloccare il credito alle famiglie e alle imprese, non conduce alla salvezza, al contrario reca povertà. Nella concezione morale tedesca il gusto, la raffinatezza, la ricerca dell’effimero, l’eleganza fine a se stessa, possono essere concepiti come fattore produttivo per un economia d’esportazione, non di certo per sostenere la domanda interna. Gli abiti di Dolce e Gabbana, le borse di Fendi, le scarpe di Ferragamo, il cashmere di Brunello Cucinelli, hanno una loro ragion d’essere se guardano al mercato globale, in particolare ai settori delle economie emergenti, non se devono trainare i consumi degli italiani. Il credo dei tedeschi per la macroeconomia del proprio Paese, da estendere all’intera area Euro, si traduce nell’imperativo categorico di produrre molto di più di quanto si consuma. Financo le pavide strutture burocratiche di Bruxelles si sono accorte dell’insostenibilità della posizione tedesca da spingersi, non senza tentennamenti e soverchi timori, a proporre una procedura d’infrazione contro la Germania perché il surplus delle partite correnti risulta eccessivo rispetto all’andamento delle importazioni. In pratica i tedeschi vendono senza comprare, e per comprare sempre di meno dall’estero non consumano. Nell’anonimo abbigliarsi di frau Merkel c’è tutto questo, rappresentato icasticamente dal suo stesso corpo fisico. C’è nell’orizzonte visuale tedesco un disegno ultimo d’Europa che celebra la sua effettiva fondazione unitaria solo dopo una lunga fase di transizione catartica in nome dell’etica comune. In stretto spirito luterano si preconizza, per i popoli del sud dell’Europa, quella riforma morale che ad essi è mancata per lungo tempo, mentre le genti del Nord se ne avvantaggiano da cinquecento anni a questa parte. Non v’è forse più di un’oncia dello spirito di Calvino nella legge comunitaria del Fiscal Compact? Il rientro forzoso del debito pubblico è una concezione afferente in modo esclusivo la teoria economica o piuttosto non attiene anche alla dimensione morale del peccato e della colpa per colui o coloro che vivono spendendo più di quanto posseggano? La Germania sta affrontando la fase di transizione verso l’unificazione politica dell’Europa in termini di rivendicazione del diritto egemone dell’economicamente più forte a dettare alle altre realtà interventrici nel processo unitario tempi e modalità di allineamento. Quanto questa politica condurrà al successo i suoi fautori è presto per dirlo. Di sicuro da qualche tempo va approfondendosi il solco che divide la Germania e gli Stati del Nord della UE dalle nazioni del Sud- Europa al punto che la prossima tornata elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo rischia di trasformarsi in un referendum sul modello di Unione voluto dalla Germania. Nondimeno gli italiani, più di tutti, sono stati posti, più o meno traumaticamente, di fronte al dilemma se accettare o meno un’integrazione non più soltanto economica, o politico-istituzionale, ma etica e riformatrice degli stili di vita tanto dei singoli quanto delle comunità. Per quanto ci riguarda sappiamo bene che il gusto estetico, combinato ai suoi più alti livelli espressivi con l’arte, declinata in tutte le sue rappresentazioni, è un fattore connaturato alla nostra identità come lo è stato un diffuso senso edonistico dell’esistenza, avvertito con differente intensità in tutti gli strati della popolazione. La figura storica di Mecenate e quella mitica di Anfitrione incarnano due modelli positivi della nostra identità profonda. Mai potremmo pensare a loro come esempi di spreco o di insensata prodigalità. Anche la distrazione di risorsa pubblica, la stessa denunciata da Lutero, per incentivare e sostenere la produzione artistica ha consentito alle generazioni passate di italiani di dotare l’umanità del più prezioso patrimonio culturale presente al mondo. E la ricerca estetica del canone universale della bellezza nelle cose che recano la mano dell’uomo, appartiene al sentire di un popolo, quello italiano, che ha saputo fare del “bello” un’espressione dell’anima, oltre che una condizione della manifattura. Ora, bisogna chiedersi se l’approdare nel “nuovo mondo” debba comportare simultaneamente la perdita di senso per una vita qualitativa che ancestralmente abbiamo radicato nel nostro ethos collettivo e storicamente stratificato, mattone su mattone, opera per opera. Si potrebbe obiettare che questa separazione tagliata con l’accetta sia generica e non faccia giustizia dell’articolazione della stessa posizione tedesca. Si potrebbe, a ragione, sostenere che la “kultur” germanica, senza scomodare Nietzsche, sia intrisa di apprezzamento per la civiltà greco-romana. Si potrebbe giungere a dimostrare che i tedeschi rispettino le vestigia di Roma e di Atene più di quanto non lo facciano gli stessi italiani e greci. In realtà, ed è questo il punto, i tedeschi amano ammirare i lasciti di civiltà scomparse, altra cosa sarebbe fare i conti con la sopravvivenza delle loro idee-guida. D’altro canto è un vecchio ritornello, udito spesso dalle parti di Wilhelmstraße e a cui abbiamo fatto l’orecchio: A noi l’industria, agli italiani i musei, la Chiese, gli scavi archeologici, il sole, il mare… e le osterie. Su un punto, però, la critica tedesca piega ogni contrario argomento: si tratta del fatto che è da troppo tempo che i denari pubblici non prendono la via della produzione artistica o più in generale del miglioramento della qualità della vita dei cittadini, e neppure sostengono la ricerca e l’innovazione le quali sono un altro modo per costruire il “bello”. Al contrario essi si perdono nei mille rivoli della corruzione e del malaffare. Si traducono in sperpero continuo, impresentabile agli occhi della pubblica opinione. La corruzione degli apparati pubblici, per decenni, ha nutrito i grandi appetiti dei piccoli uomini che hanno popolato i ranghi della stragrande maggioranza della classe dirigente. L’hanno divorato, questo Paese, e lo hanno reso più brutto, quasi inguardabile, più insicuro e meno vivibile. La loro azione demolitrice ha condotto gli italiani di oggi a presentarsi al cospetto della comunità internazionale con molto meno credito di quanto essi, singolarmente considerati, meriterebbero. Il male oscuro della finanza pubblica oggi appare incurabile se non attraverso i mezzi e le modalità che provengono dal comportamento, in sé pedagogico, che gli altri Stati, in prima fila la Germania, ci hanno imposto. Ma a fronte di tanta inflessibilità, di chiarezza morale se n’è vista poca. Gli obblighi ai quali i nostri governi da tre anni a questa parte si sono piegati stanno facendo prima la salvezza e poi la fortuna dei nostri competitori interni al mercato europeo. Gli italiani oggi sono chiamati a scegliere una strada su cui incamminarsi definitivamente, senza tentennamenti o ripensamenti di sorta. Se questa strada sarà l’Europa, allora dovranno prepararsi con coraggio ad assimilare lo stile di vita che “il nuovo mondo” imporrà di adottare. Si potrà, però, provare a temperarlo con quanto di creativo, di originale e di innovativo, il “genio italiano” ha da sempre saputo concepire. Quel che è certo è che niente sarà come prima. Agli italiani la capacità di conquistare la giusta misura dell’agire e del vivere in una realtà riformata alle radici. Il fare etico sarà la cifra distintiva della prossima sfida. E sia. Tuttavia, la dimensione morale ammette come fondamento l’onestà individuale e la lealtà nei rapporti. L’Italia, quindi, ha il diritto di pretendere dai suoi partner che i princìpi della nuova etica valgano per tutti e tutti si impegnino a rispettarli.

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